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mercoledì 30 ottobre 2013

Recensione Il Muro Del Canto - Ancora Ridi

Ancora Ridi è il secondo lavoro in studio per la band romana Il Muro Del Canto, portata alla ribalta dal primo lavoro di inizio 2012 L'Ammazzasette.



La musica popolare è sempre stata tra le basi della cultura italiana. Dai canti dialettali nasce la musica leggera italiana che poi si è evoluta in quello che ascoltiamo dagli anni '50 a oggi. E sono ancora oggi numerosi gli artisti che scelgono il dialetto per fare musica.
La band romana prosegue sulla strada tracciata dal primo lavoro, musica folk che accompagna i versi in dialetto romanesco, a portare in musica storia popolari con la stessa malinconia e disincanto che la stessa Città Eterna si porta dietro da anni. Tra storie antiche di fame ( Il Canto Degli Affamati ) e sventura ( Maleficio ) fino a problemi più dei giorni nostri come abusivismo ( Palazzinari ) e emigrazione ( Arrivederci Roma ). Il tutto messo in musica con la guida spirituale di chi questa città l'ha raccontata nel migliore dei modi, come Trilussa e Petrolini.


Il Muro Del Canto si confermano tra le migliori band emergenti nel panorama italiano, con un disco totalmente assente da cadute verso il basso, ma con dodici traccie tutte valide, che unite nel loro insieme ci regalano uno dei dischi migliori di questo 2013.

Tracklist :
  1. Ancora Ridi
  2. Maleficio
  3. Il Canto Degli Affamati
  4. Intanto Er Sole Se Nasconne
  5. Peste e Corna
  6. Palazzinari
  7. Osteria Dei Frati
  8. Canzone Allagata
  9. Strade Da Dimenticà
  10. Er Funerale
  11. Lacrima a Metà
  12. Arrivederci Roma

martedì 29 ottobre 2013

Recensione Paul McCartney - New

Il baronetto torna alla veneranda età di settantuno anni, con oltre cinquant'anni di carriera alle spalle e un numero di dischi pubblicati di cui ormai si perde il conto. Sono passati ormai sei anni da Memory Almost Full del 2007, ultimo lavoro da solista per uno dei due superstiti dei Beatles.


Dopo una carriera come quella del Baronetto si arriva a un punto in cui si potrebbe dire basta, e godersi un meritato riposo. Ma Sir Paul non sembra intenzionato a fermarsi, anzi le energie sembrano non mancare. Tra collaborazioni e tour Paul McCartney non ha alcuna idea di smettere. E quando un'artista ha un talento come il suo, tutti gli ascoltatori sono contenti di questa sua intenzione di proseguire.
Con New l'ex Beatles si innesta in questo periodo di Pop abbastanza scadente, per dimostrare ancora una volta a tutti come si dovrebbe fare un disco Pop. Nessuna invenzione particolare, ma una dimostrazione di classe che la maggior parte dei cantanti leggeri di oggi si sogna.


Eppure in questo disco Paul dimostra anche di volersi divertire con la musica. E se l'inizio sembra fatto apposta per i nostalgici dei Fab Four ( Alligator, New ) e con ballate che il Baronetto ha sempre dimostrato di saper scrivere ( Early Days ), nella seconda parte sembra voler giocare con le sue capacità. Tra basi elettroniche ( Appreciate, I Can Bet ) e psichedelia appena sussurrata ( Queenie Eye ), Paul si dimostra di sapersela cavare in più ambiti. Come detto non c'è nessuna trovata particolarmente innovativa, che farà gridare al miracolo, ma è anche vero che nessuno chiederà mai a Macca di fare qualcosa di più rispetto a quello che ha già prodotto nella sua carriera.


Un disco leggero, di facile ascolto e senza molto pretese. Così come erano poche le aspettative per l'ormai leggendario Macca. Un disco che ha un occhio al passato e uno al futuro, per far capire ancora una volta a tutti che la classe resta per sempre, e non si va spegnendo con il passare degli anni.

Tracklist :
  1. Save Us
  2. Alligator
  3. On My Way to Work
  4. Queenie Eye
  5. Early Days 
  6. New
  7. Appreciate
  8. Everybody Out There
  9. Hosanna
  10. I Can Bet
  11. Looking at Her 
  12. Road

lunedì 28 ottobre 2013

Addio Lou

Non è possibile spiegare la sensazione di vuoto che lasciano certe notizie. Notizie che non vorresti mai sapere e che ti lasciano di stucco, come un fulmine a ciel sereno. A volte si sta peggio per la scomparsa di un perfetto sconosciuto, piuttosto che di una persona a te vicina. Il fatto che probabilmente quello sconosciuto ti ha dato qualcosa di molto più importante rispetto a chi conosci di persona.
Ci sono artisti che entrano dentro di te, fin dalla prima volta che li ascolti, e non escono più. Ti lasciano una traccia indelebile dentro, che sai ti porterai dentro tutta la vita.
La prima volta che ho ascoltato Velvet Underground & Nico oppure Loaded, così come Transformer o Berlin, hanno segnato per sempre tutta la mia visione della musica. È come se avessero preso e ribaltato completamente la visione che avevo della musica. E mi ha dato la possibilità di scoprire tantissima altra musica, oltre che tutto il lavoro fatto da questo meraviglioso poeta.
È da ieri che tutti i social network sono invasi da video e frasi in memoria di un'artista che come detto ha cambiato radicalmente il rock, che difficilmente sarebbe quello che ascoltiamo ora senza il suo passaggio su questa terra.

Spendere troppe parole ora sarebbe anche superfluo, e non andrebbe ad aggiungere nulla a quello che questo grandissimo ha fatto per tutti noi. L'unica cosa possibile è lasciar parlare la sua musica.



Addio Lou, e Grazie, che la terra ti sia lieve.

sabato 26 ottobre 2013

Recensione I Cani - Glamour

Dopo Il Sorprendente Album D'Esordio De I Cani ( non è un commento, è il titolo ) arriva ora il secondo disco in studio per Niccolò Contessa, anticipato dal singolo Non C'è Niente Di Twee. In questi due anni abbiamo potuto ascoltare il musicista romano anche nell'EP I Cani non sono i Pinguini non sono I Cani insieme ai Gazebo Penguins.


Due anni fa con il loro esordio I Cani spaccarono. Nel senso più letterale del termine, hanno spaccato pubblico e critica come difficilmente era successo per un album di esordio, specialmente in Italia. La critica tra giudizi positivi e negativi e il pubblico completamente diviso a metà, tra esaltazione e disprezzo. L'aver puntato l'indice contro la scena Indie italiana ha di certo scatenato questa spaccatura. E tutto questo caos mediatico è stato al centro del successo riscosso da I Cani.
E se spacchi così un po' tutta l'opinione pubblica significa che qualcosa hai detto, e soprattutto quello che hai detto ha colpito, sia in positivo che in negativo, chi ti ha ascoltato.


Con questo secondo lavoro Contessa prova a cambiare il suo punto di vista, provando a spostare l'attenzione dall'esterno all'interno, andando a vedere più dentro di se rispetto al giudicare l'ambiente in cui vive. E non risparmia critiche anche a se stesso ( io ero un po' troppo comodo in quanto astro nascente, astro nascente di quattro poveri stronzi ; Considerato che non sono un artista, e con le velleità non ci si vive ).
Quello che abbiamo davanti è sicuramente un disco più maturo e ricercato rispetto al primo album della band, infatti se la critica principale che veniva mossa al disco precedente era l'eccessiva ripetitività musicale, in questo album troviamo nuove aperture che siano verso il pop ( Come Vera Nabokov, Non C'è Niente Di Twee ) o verso il cantautorato ( Lexotan, Corso Trieste ), dimostrano comunque una maturazione artistica che in molti speravano dopo aver ascoltato il primo lavoro.
Ma non mancano neanche riminiscenze del precedente lavoro. Storia di Un'Artista sembra essere uscito dal primo disco più per i temi che per la musica. Così come non mancano la marea di citazioni che riempivano il disco precedente. Si va da De André ( Storia di un Impiegato uno dei punti più alti del disco ), a Jay Z e Pasolini fino ai Fine Before You Came ( FBYC ).


Si dice spesso che il secondo album è più complicato rispetto al primo. Il primo porta la novità mentre nel secondo devi confermare, a volte dimostrare, che le qualità ci siano. Niccolò Contessa si dimostra molto maturato rispetto al primo lavoro, con una maggiore profondità rispetto al passato. Probabilmente anche questo disco porterà a spaccature, principalmente derivanti dal cambio di direzione intrapreso per questo secondo album, ma se si doveva trattare di una dimostrazione di capacità, si può dire che I Cani hanno dato prova di esserci veramente e di non essere una meteora passeggera.


Tracklist :
  1. Introduzione
  2. Come Vera Nabokov
  3. Corso Trieste
  4. Non C'è Niente Di Twee
  5. Storia Di Un Impiegato
  6. Roma Sud
  7. Theme From Koh Samui
  8. Storia Di Un Artista
  9. San Lorenzo
  10. FBYC ( Sfortuna )
  11. Lexotan

mercoledì 23 ottobre 2013

Recensione Motorhead - Aftershock

Ventunesimo disco in studio per Lemmy e compagni, una delle band di culto nel mondo dell'Heavy Metal. Questo Aftershock arriva tre anni dopo The World is Yours del 2010 e dopo l'annullamento di parecchie tappe dell'ultimo tour mondiale a causa di problemi di salute del cantante e bassista della band.


È difficilissimo parlare di una band che ha dato il meglio di se stessa circa trent'anni fa ma che non è mai possibile criticarla nel senso stretto del termine. I Motorhead sono inattaccabili e Lemmy è ormai un idolo a livello mondiale, il che concede a lui e alla band uno status di icone ormai inaffondabili.
Il disco fin dalla prima traccia, la potentissima Heartbreaker, si dimostra quello che ci si aspettava dalla band inglese, cioè un disco dei Motorhead. Il tutto suonerà già sentito, nessuna novità rispetto al passato, insomma l'ennesima copia di tutti gli ultimi dischi di Lemmy. Soliti riff, soliti suoni, solita voce trascinata di Lemmy, e un altro tentativo di replicare Ace Of Spades, tentativo fallito con Queen Of The Damned. Da segnalare il blues di Lost Woman Blues che probabilmente si rivela la traccia migliore del disco, ma anche End Of Time è degna di nota.


E se ci troviamo davanti alla solita ripetizione dei dischi dei Motorhead perché si dovrebbe ascoltare questo disco? Per i motivi citati prima, Lemmy è un'icona che merita comunque rispetto, i riff sono sempre i soliti ma sono potenti e veloci come in passato, è un disco che sa di essere non perfetto e non pretende ascolti ripetuti ed approfonditi, ma è un ascolto facile, quarantacinque minuti da passare in compagnia di una delle più famose band Metal che non pretende di insegnarci nulla.


Tracklist :

  1. Heartbreaker
  2. Coup De Grace
  3. Lost Woman Blues
  4. End Of Time
  5. Do You Believe
  6. Death Machine
  7. Dust And Glass
  8. Going To Mexico
  9. Silence When You Speak To Me
  10. Crying Shame
  11. Queen Of The Damned
  12. Knife
  13. Keep Your Powder Dry
  14. Paralyzed

martedì 22 ottobre 2013

Recensione Metallica – Through The Never

Ritorno ambizioso e in grande stile per la band metal più famosa del globo. Un film con protagonisti gli stessi membri della band, e ad accompagnarlo un disco dal vivo che altro non è che la colonna sonora del film stesso.


Un film con protagonista una band è un esperimento che ha pochi eguali nel mondo della musica. Forse nessuna la band che si era spinta fino a tanto nel corso della propria carriera. E i Metallica potrebbero fare apripista a un incrocio di mondi che si sono sempre sfiorati negli ultimi anni. Sotto la direzione del regista Nimród Antal ( Vacancy ) sarà nei cinema il 28 e 29 Ottobre.
Il film è diviso in due parti, una parte dedicata alla band e uno a una storia parallela che si svolge durante un loro concerto. Mentre la band è impegnata sul palco in uno show esclusivo, un loro roadie ( il giovane Dane DeHaan già visto in Chronicle e prossimamente in The Amazing Spiderman 2 ) è intento nel recupero di una misteriosa borsa indispensabile per la band.


Nel film il ruolo dei Metallica è quello più consono alla band, infatti li si vede impegnati sul palco nell'esecuzione di alcuni dei loro maggiori successi, con scenografie altamente spettacolari e difficilmente ripetibili in una tournée vera a propria. Le riprese grazie alla tecnologia IMAX e al 3D sono di una qualità incredibile e danno quasi il senso di essere sul palco insieme ai Four Horsemen.
La parte da approfondire di più è quella del film vero e proprio. Il giovane Trip intraprende un viaggio per il recupero di questo materiale, un viaggio che ben presto lascerà la strada maestra per diventare una sorta di incubo surreale, in cui si troverà ad affrontare prove assai ardue. Quello che viene messo sullo schermo può essere letto come una sorta di metafora, come un ripercorrere gli anni della band, visto che anche in questo caso il viaggio prende una piega diversa a seguito di un incidente stradale ( vedi morte di Cliff Burton ), e il protagonista si trova a combattere contro dei demoni che possono essere associati a tutti i travagli che la band ha dovuto vivere nel corso degli anni. È una sorta di percorso ciclico che li vede toccare un apice per poi tornare indietro come un ritorno alle origini, e questo fatto è evidenziato anche da quello che succede sul palco, oltre che dalle disavventure del giovane Trip.


L'uscita del film è accompagnata anche da un disco dal vivo che altro non è che la colonna sonora di questo lavoro. Una colonna sonora che va a pescare tra i maggiori successi della band, limitando i brani degli ultimi lavori. Da veri intenditori è l'esecuzione nei titoli di coda di Orion, uno dei brani più amati dai fans dei Metallica.


Visto che di esperimento si tratta è difficile anche da giudicare. Sicuramente non si tratta di un capolavoro, ma sicuramente di un'ottima occasione per vedere i Metallica suonare in un contesto diverso dall'abitudine, in cui la qualità delle immagini da uno sprint in più. Anche l'unire due mondi come la musica e il cinema potrebbe rivelarsi un esperimento riuscito e non mi stupirei di vedere in futuro altre band cimentarsi in esperienze simili. 

sabato 19 ottobre 2013

Il Rock Visto Dal Basso

Nel mondo del rock si tende spesso a mitizzare soprattutto cantanti e chitarristi. Sono loro le star di questo mondo, quelli che con i loro assoli e i loro acuti tendono a restare impressi nelle menti e nelle orecchie di chi ascolta. Ogni tanto c'è gloria anche per quelli che stanno dietro le pelli, che pestando forte si guadagnano una certa fama. E di solito per ultimi arrivano quelli che suonano “la chitarra più lunga e con meno corde”. Solitamente è l'ultimo ad essere citato quando si elencano le formazioni musicali, a volte i loro nomi non sono neanche ricordati, vengono considerati come i meno talentuosi, ma spesso sono dei personaggi di livello uguale se non superiore a quelli che sono considerate le star.


Partiamo con quelli che “ce l'hanno fatta”. Si perché alcuni ce l'hanno fatta. Nel senso che sono riconosciuti come vere e proprie star, anche se probabilmente il fatto di mettere a disposizione della band anche la loro voce, ha sicuramente influenzato la loro ascesa. Lemmy Kilmister è i Motorhead, da lui creati e da lui portati avanti in quasi quarant'anni, senza mai togliere il basso dalla spalla. Sting prima di intraprendere la carriera solista è stato a lungo voce e basso dei Police, una delle band più innovative a cavallo tra gli anni '70 e '80. Il suo carisma, oltre alla notevole tecnica, lo hanno portato a essere uno dei grandi miti del rock. E cosa dire poi di Sir Paul McCartney? È stato protagonista della più importante pagina che la musica ricordi ( I Beatles per i più disattenti ) sempre accompagnato dal suo basso, che tutt'ora lo accompagna nelle sue esibizioni dal vivo.


Ma come detto all'inizio, non per tutti la situazione è la stessa. Per tutti quelli che sono ormai delle icone a livello planetario, esistono diversi casi di bassisti che militano o hanno militato in alcune delle più grandi band di sempre, ma di cui il nome spesso sfugge alla massa. I casi forse più eclatanti sono quelli di John Paul Jones e John Entwistle. E se per Jones suonare all'ombra del trio Plant – Page – Bohnam avrebbe fatto passare in secondo piano qualsiasi bassista al mondo, nonostante la tecnica sopraffina di John Paul, per quel che riguarda Entwistle era una figura centrale all'interno delle melodie degli Who. A riprova di questo vediamo spesso figurare il bassista degli Who al primo posto nelle varie classifiche del ruolo. Ma nonostante fosse al centro a livello musicale, a livello mediatico erano gli altri tre a fare sempre notizia, visto anche il carattere mite e poco appariscente di Entwistle rispetto alle bizzarrie di Keith Moon o Pete Towshend. Un altro nella situazione appena descritto è Jeff Ament bassista dei Pearl Jam. La band è di Eddie Vedder, la star è Eddie Vedder e sembra che gli altri siano solo contorno. Jeff Ament negli anni è stato anche autore di moltissimi brani della band di Seattle, ma i fan meno attenti non vanno oltre la gigante ombra del frontman.


Poi abbiamo quel tipo di bassisti, che anche non mettendo la voce al servizio della band, sono le vere e proprie anime dei rispettivi gruppi. Flea dei Red Hot Chili Peppers è sempre stato riconosciuto come il miglior musicista della band Angelina, che con i suoi giri di basso è sempre stato il principale artefice del successo del gruppo. La dimostrazione della sua grandezza come musicista è data anche dal recente progetto parallelo degli Atoms For Peace, in cui insieme a Thom Yorke, ha mostrato grandissime doti anche in uno stile completamente diverso da quello che ha suonato per anni con Frusciante e Kiedis.
Steve Harris sono quasi quarant'anni che è la mente dietro agli Iron Maiden, di cui è stato il fondatore. Idolatrato dai fans della band metal, è il principale autore dei brani dei Maiden, in cui però lascia spazio principalmente a voce e chitarre.
Per i Metallica il bassista è sempre stato il ruolo più difficoltoso da ricoprire. E i problemi con il basso sono iniziati proprio dopo la scomparsa del primo che ha ricoperto il ruolo. Cliff Burton è stato colui che ha dato la svolta a livello artistico per quelli che poi sarebbero diventati i Four Horsemen. Il suo stile musicale ha influenzato gli altri tre musicisti che calcavano il palco con lui, portandoli a registrare un trittico di dischi che ha pochi eguali nella storia ( Kill 'Em All, Ride The Lightning, Master Of Puppets ). Dopo la sua dipartita è cominciato un lento declino per la band californiana, dovuto anche a un progressivo abbandono della linea melodica di Burton.


Un capitolo a parte lo meritano due dei più famosi esponenti del ruolo. Roger Waters e Sid Vicious. Genio e sregolatezza. Se da una parte Roger Waters è stato la mente, l'autore e infine il distruttore dei Pink Floyd, dall'altra parte Sid Vicious è stato il vero emblema del punk. Due personaggi agli antipodi. Tecnica e genialità per Roger, contro la più totale incapacità da parte di Sid. Waters è da più parti indicato come una delle icone della musica moderna, capace di ideare dischi come The Wall e The Dark Side Of The Moon, che a tutt'oggi dopo quarant'anni suonano ancora di una modernità spaventosa. Dall'altra parte Sid Vicious era totalmente ignaro di come si suonasse il basso, ma il suo fare aggressivo e spudorato lo portarono a essere il simbolo di un movimento, e come lo stesso movimento si è autodistrutto in brevissimo tempo.


Come detto spesso vengono dimenticati ma è anche vero che alcuni di loro hanno fatto la storia della musica. Ne sono stati citati solo alcuni ma la lista sarebbe lunghissima, quasi tutti inseribili nelle categorie elencate. Resta e resterà sempre il ruolo più difficile da ricoprire in qualsiasi band, perché tutti vogliono suonare la chitarra e fare assoli mozzafiato, ma in pochi sono disposti a tenere il tempo e il ritmo di tutte le canzoni di una band, per poi non essere mai citati quando si elencano i componenti di un gruppo.


venerdì 11 ottobre 2013

Recensione The Fratellis - We Need Medicine

Ritorno della band di Glasgow dopo lo scioglimento avvenuto nel 2010 dopo il secondo album Here We Stand, e dopo che i tre ragazzi scozzesi si sono dedicati a diversi progetti solisti.



Il percorso dei tre scozzesi è quello seguito da diverse band, un primo disco non eccellente ma trascinato da una hit che è tuttora un tormentone ( Chelsea Dagger ), un secondo lavoro non all'altezza seguito dalla scelta di sciogliersi probabilmente per carenza di idee. Visto anche il non eccezionale successo dei progetti solisti, la scelta di tornare con un terzo disco.
Un disco atteso nella speranza di veder crescere dal punto di vista artistico questa band, speranza che già dai primi ascolti risulta vana. Lo stile della band è sempre il solito, musica scanzonata quasi adolescenziale, senza profondità alcuna.
Si provano diverse strade, da un simil-blues ( Halloween Blues ) a un Rock & Roll più accentuato ( Jeannie Nitro e This Old Ghost Town ) a cui fanno seguito anche tentativi di emulare la band indie per eccellenza di questo periodo, gli Arctic Monkeys ( She's Not Gone Yet But She's Leaving e This Is Not The End Of The World ) che però se non sei Alex Turner e soci difficilmente riesci nel tentativo.




Se l'obiettivo era quello di fare un disco per far ballare usando le chitarre allo stile dei connazionali Franz Ferdinand, forse alcune traccie riescono anche nell'intento, ma nel complesso un disco che non lascerà traccia in chi lo ascolta, buono per passare una quarantina di minuti di tranquillità senza pretese, ma che già da quando si preme il tasto Stop sarà dimenticato.



Tracklist :

1. Halloween Blues
2. This Old Ghost Town
3. She’s Not Gone Yet But She’s Leaving
4. Seven Nights, Seven Days
5. Shotgun Shoes
6. Whisky Saga
7. This Is Not the End of the World
8. Jeannie Nitro
9. We Need Medicine
10. Rock ‘n’ Roll Will Break Your Heart
11. Until She Saves My Soul

giovedì 10 ottobre 2013

Recensione Roberto Vecchioni - Io Non Appartengo Più

Dopo sei anni dall'ultimo lavoro Di rabbia e Di Stelle del 2007, seguito dal rilancio di popolarità portatogli dalla vittoria al Festival di Sanremo 2011 con Chiamami Ancora Amore, ecco tornare con un disco di inediti uno dei grandi maestri della musica d'autore italiana.


Di acqua sotto i ponti in questi anni ne è passata tanta. Dal 2007 a oggi oltre la vittoria a Sanremo, con uno dei pezzi più belli che il Festival ha ascoltato negli ultimi dieci anni, Vecchioni ha dovuto combattere contro un tumore a un rene, battaglia vinta, ed è notizia degli ultimi giorni la sua possibile candidatura al Nobel per la Letteratura, in compagnia di mostri sacri come Bob Dylan e Leonard Cohen.
Ora Vecchioni torna con un disco che riporta il cantautorato italiano al posto che merita, cioè ai vertici artistici del nostro paese. E come dimostrato da altri due mostri sacri del genere, Guccini con L'Ultima Thule e De Gregori con Sulla Strada, questo album del Professore sta a dimostrare che quando si hanno qualità e capacità il passare degli anni non influisce sulla composizione artistica. Anzi si assume una sempre maggior consapevolezza in quello che si sta facendo.
La componente autobiografica del disco è quasi totale, Vecchioni riesce nell'impresa di mettere tutte le sue emozioni e angoscie vissute in questi ultimi anni in versi.


Quando combatti contro un male che per i più risulta imbattibile, e riesci a uscirne vincitore, è chiaro che la tua prospettiva sulla vita tende a cambiare. E Vecchioni lo mette in musica. Il Miracolo Segreto e soprattutto Ho Conosciuto Il Dolore affronta il tema della malattia, arrivando al punto di mandarlo a fanculo. Ma sono anche altri gli aspetti della vita del Prof. Che mette nel disco. Due Madri è la storia di sua figlia e della sua compagna nella difficoltà di avere un figlio, in cui lancia un chiaro messaggio sul suo pensiero invitando la nipote a fregarsene del giudizio esterno. Donne tema centrale anche di Wislava Szymborska e in Le Mie Donne, quest'ultima quasi un'ode al sesso femminile in tutte le sue rappresentazioni di madri, mogli e figlie. Passando per Stelle la storia di un viaggio in mare in cui però il capitano maledice le stelle che lo hanno guidato fino a quel momento, si arriva alla titletrack Io Non Appartengo Più un accorato grido rivolto al mondo moderno, in cui già dal titolo Vecchioni fa capire di non sentirsi partecipe.


Roberto Vecchioni ribadisce ancora una volta come la musica di qualità in Italia è possibile farla, e non per forza si è costretti a far musica per le sole classifiche. Un ritorno in grande stile che farà contenti tutti gli amanti un certo tipo di musica italiana, che sapranno trovare in questo disco un ottimo lavoro di uno dei maggiori poeti italiani.



Tracklist :

  1. Esodo
  2. Le Mie Donne
  3. Il Miracolo Segreto
  4. Sei Nel Mio Cuore
  5. Sui Ricordi
  6. Ho Conosciuto Il Dolore
  7. Stelle
  8. Così Si Va
  9. Wislava Szymborska;
  10. Due Madri
  11. Come Fai?
  12. Io Non Appartengo Più

martedì 8 ottobre 2013

Recensione Pearl Jam - Lightning Bolt

Decimo disco in studio per la band di Eddie Vedder e soci. Il gruppo di Seattle torna dopo quattro anni da Backspacer ultimo lavoro in studio per i sei musicisti americani, chiamati a dimostrare ancora una volta di essere una delle migliori band al mondo, dopo il non esaltante ultimo lavoro.



Backspacer era un disco normale, molto lineare, che per molte band avrebbe rappresentato un grandissimo lavoro, ma se la band in questione sono i Pearl Jam, questo lavoro può essere tra i peggiori della carriera. In questi quattro anni i membri del gruppo si sono dati parecchio da fare tra dischi solisti ( Eddie Vedder, Stone Gossard e Jeff Ament ), reunion di band ormai sciolte ( Matt Cameron con i SoundGarden ) e celebrazioni per i vent'anni di carriera. Ma non riescono a stare troppo lontani dalla loro musica, quindi eccoli tornare. I due singoli che hanno anticipato hanno forse portato fuori strada quasi tutti i fans dei Pearl Jam. Se Mind Your Manners era un pezzo punk che ricordava diversi lavori passati, Sirens è una splendida ballata che grazie alla voce di Vedder raggiunge un livello elevatissimo.



Se i due brani sentiti in queste settimane potevano far pensare a un disco sulla falsariga del precedente lavoro, basta arrivare alla terza traccia My Father's Son per capire che qualcosa va cambiando con il basso a farla da padrone e se non fosse per la voce di Eddie non sembrerebbero neanche i Pearl Jam. Ma è da Infallible che il disco inizia a allontanarsi quasi completamente dai suoni storici della band, con il suo andamento sincopato. Pendulum è una ballata sommessa che anticipa Swallowed Whole che con i suoi toni quasi pop potrebbe far storcere il naso a più di qualcuno. Con Let The Records Play si torna di nuovo a cambiare direzione, con un blues che richiama il loro vecchio amico Neil Young. Il trittico finale sembra uscire direttamente da un disco solista di Eddie Vedder, e se Sleeping By Myself era presente appunto in Ukulele Songs le ultime due traccie, Yellow Moon e Future Days, non fanno altro che esaltare ai massimi livelli la voce di Vedder. Ma il vero capolavoro lo troviamo a metà del disco, la titletrack Lightning Bolt che sembra presa direttamente dai lavori di venti anni fa, e che farà felici i fan di vecchia data della band.



È il disco migliore dei Pearl Jam? No. È un disco che rimarrà nei cuori dei fans? Probabilmente si. I Pearl Jam cercano di reinventarsi, e di andare a scoprire strade nuove rispetto a ultimi lavori molto più lineari e sarà solo il tempo a dirci se avevano ragione. La sola certezza che resta è che Eddie Vedder si dimostra ancora una volta uno dei più carismatici e versatili interpreti di questi ultimi venti anni.




Tracklist :
01. Getaway
02. Mind Your Manners
03. My Father’s Son
04. Sirens
05. Lightning Bolt
06. Infallible
07. Pendulum
08. Swallowed Whole
09. Let The Records Play
10. Sleeping By Myself
11. Yellow Moon
12. Future Days