Ancora Ridi
è il secondo lavoro in studio per la band romana Il Muro Del Canto,
portata alla ribalta dal primo lavoro di inizio 2012 L'Ammazzasette.
La musica popolare
è sempre stata tra le basi della cultura italiana. Dai canti
dialettali nasce la musica leggera italiana che poi si è evoluta in
quello che ascoltiamo dagli anni '50 a oggi. E sono ancora oggi
numerosi gli artisti che scelgono il dialetto per fare musica.
La band romana
prosegue sulla strada tracciata dal primo lavoro, musica folk che
accompagna i versi in dialetto romanesco, a portare in musica storia
popolari con la stessa malinconia e disincanto che la stessa Città
Eterna si porta dietro da anni. Tra storie antiche di fame ( Il
Canto Degli Affamati ) e sventura ( Maleficio ) fino a
problemi più dei giorni nostri come abusivismo ( Palazzinari
) e emigrazione ( Arrivederci Roma ). Il tutto messo in musica
con la guida spirituale di chi questa città l'ha raccontata nel
migliore dei modi, come Trilussa e Petrolini.
Il Muro Del Canto
si confermano tra le migliori band emergenti nel panorama italiano,
con un disco totalmente assente da cadute verso il basso, ma con
dodici traccie tutte valide, che unite nel loro insieme ci regalano
uno dei dischi migliori di questo 2013.
Il baronetto torna
alla veneranda età di settantuno anni, con oltre cinquant'anni di
carriera alle spalle e un numero di dischi pubblicati di cui ormai si
perde il conto. Sono passati ormai sei anni da Memory Almost Full
del 2007, ultimo lavoro da solista per uno dei due superstiti dei
Beatles.
Dopo una carriera come quella del Baronetto si arriva a un punto in
cui si potrebbe dire basta, e godersi un meritato riposo. Ma Sir Paul
non sembra intenzionato a fermarsi, anzi le energie sembrano non
mancare. Tra collaborazioni e tour Paul McCartney non ha alcuna idea
di smettere. E quando un'artista ha un talento come il suo, tutti gli
ascoltatori sono contenti di questa sua intenzione di proseguire.
Con
New l'ex Beatles si innesta in
questo periodo di Pop abbastanza scadente, per dimostrare ancora una
volta a tutti come si dovrebbe fare un disco Pop. Nessuna invenzione
particolare, ma una dimostrazione di classe che la maggior parte dei
cantanti leggeri di oggi si sogna.
Eppure
in questo disco Paul dimostra anche di volersi divertire con la
musica. E se l'inizio sembra fatto apposta per i nostalgici dei Fab
Four ( Alligator, New
) e con ballate che il Baronetto ha sempre dimostrato di saper
scrivere ( Early Days
), nella seconda parte sembra voler giocare con le sue capacità. Tra
basi elettroniche ( Appreciate, I Can Bet
) e psichedelia appena sussurrata ( Queenie Eye
), Paul si dimostra di sapersela cavare in più ambiti. Come detto
non c'è nessuna trovata particolarmente innovativa, che farà
gridare al miracolo, ma è anche vero che nessuno chiederà mai a
Macca di fare qualcosa di più rispetto a quello che ha già prodotto
nella sua carriera.
Un
disco leggero, di facile ascolto e senza molto pretese. Così come
erano poche le aspettative per l'ormai leggendario Macca. Un disco
che ha un occhio al passato e uno al futuro, per far capire ancora
una volta a tutti che la classe resta per sempre, e non si va
spegnendo con il passare degli anni. Tracklist :
Non è possibile spiegare la sensazione di vuoto che lasciano
certe notizie. Notizie che non vorresti mai sapere e che ti lasciano
di stucco, come un fulmine a ciel sereno. A volte si sta peggio per
la scomparsa di un perfetto sconosciuto, piuttosto che di una persona
a te vicina. Il fatto che probabilmente quello sconosciuto ti ha dato
qualcosa di molto più importante rispetto a chi conosci di persona.
Ci sono artisti che entrano dentro di te, fin dalla prima volta
che li ascolti, e non escono più. Ti lasciano una traccia indelebile
dentro, che sai ti porterai dentro tutta la vita. La prima volta che ho ascoltato Velvet Underground & Nico
oppure Loaded, così come Transformer o Berlin, hanno segnato per
sempre tutta la mia visione della musica. È come se avessero preso e
ribaltato completamente la visione che avevo della musica. E mi ha
dato la possibilità di scoprire tantissima altra musica, oltre che
tutto il lavoro fatto da questo meraviglioso poeta.
È da ieri che tutti i social network sono invasi da video e frasi
in memoria di un'artista che come detto ha cambiato radicalmente il
rock, che difficilmente sarebbe quello che ascoltiamo ora senza il
suo passaggio su questa terra.
Spendere troppe parole ora sarebbe anche superfluo, e non andrebbe
ad aggiungere nulla a quello che questo grandissimo ha fatto per
tutti noi. L'unica cosa possibile è lasciar parlare la sua musica.
Dopo Il
Sorprendente Album D'Esordio De I Cani
( non è un commento, è il titolo ) arriva ora il secondo disco in
studio per Niccolò Contessa, anticipato dal singolo Non
C'è Niente Di Twee. In questi
due anni abbiamo potuto ascoltare il musicista romano anche nell'EP I
Cani non sono i Pinguini non sono I Cani insieme
ai Gazebo Penguins.
Due anni fa con il loro esordio I
Cani spaccarono. Nel senso più letterale del termine, hanno spaccato
pubblico e critica come difficilmente era successo per un album di
esordio, specialmente in Italia. La critica tra giudizi positivi e
negativi e il pubblico completamente diviso a metà, tra esaltazione
e disprezzo. L'aver puntato l'indice contro la scena Indie italiana
ha di certo scatenato questa spaccatura. E tutto questo caos
mediatico è stato al centro del successo riscosso da I Cani.
E se spacchi così un po' tutta
l'opinione pubblica significa che qualcosa hai detto, e soprattutto
quello che hai detto ha colpito, sia in positivo che in negativo, chi
ti ha ascoltato.
Con questo secondo lavoro
Contessa prova a cambiare il suo punto di vista, provando a spostare
l'attenzione dall'esterno all'interno, andando a vedere più dentro
di se rispetto al giudicare l'ambiente in cui vive. E non risparmia
critiche anche a se stesso ( io
ero un po' troppo comodo in quanto astro nascente, astro nascente di
quattro poveri stronzi ; Considerato
che non sono un artista, e con le velleità non ci si vive ).
Quello che abbiamo davanti è
sicuramente un disco più maturo e ricercato rispetto al primo album
della band, infatti se la critica principale che veniva mossa al
disco precedente era l'eccessiva ripetitività musicale, in questo
album troviamo nuove aperture che siano verso il pop ( Come Vera
Nabokov, Non C'è Niente Di Twee ) o verso il cantautorato (
Lexotan, Corso Trieste ), dimostrano comunque una maturazione
artistica che in molti speravano dopo aver ascoltato il primo lavoro.
Ma
non mancano neanche riminiscenze del precedente lavoro. Storia di
Un'Artista sembra essere uscito
dal primo disco più per i temi che per la musica. Così come non
mancano la marea di citazioni che riempivano il disco precedente. Si
va da De André ( Storia di un Impiegato uno
dei punti più alti del disco ), a Jay Z e Pasolini fino ai Fine
Before You Came ( FBYC
).
Si
dice spesso che il secondo album è più complicato rispetto al
primo. Il primo porta la novità mentre nel secondo devi confermare,
a volte dimostrare, che le qualità ci siano. Niccolò Contessa si
dimostra molto maturato rispetto al primo lavoro, con una maggiore
profondità rispetto al passato. Probabilmente anche questo disco
porterà a spaccature, principalmente derivanti dal cambio di
direzione intrapreso per questo secondo album, ma se si doveva
trattare di una dimostrazione di capacità, si può dire che I Cani
hanno dato prova di esserci veramente e di non essere una meteora
passeggera.
Ventunesimo disco in studio per Lemmy e compagni, una delle band
di culto nel mondo dell'Heavy Metal. Questo Aftershock arriva
tre anni dopo The World is Yours del
2010 e dopo l'annullamento di parecchie tappe dell'ultimo tour
mondiale a causa di problemi di salute del cantante e bassista della
band.
È difficilissimo parlare di una band
che ha dato il meglio di se stessa circa trent'anni fa ma che non è
mai possibile criticarla nel senso stretto del termine. I Motorhead
sono inattaccabili e Lemmy è ormai un idolo a livello mondiale, il
che concede a lui e alla band uno status di icone ormai
inaffondabili.
Il disco fin dalla prima traccia, la
potentissima Heartbreaker, si dimostra quello che ci si
aspettava dalla band inglese, cioè un disco dei Motorhead. Il tutto
suonerà già sentito, nessuna novità rispetto al passato, insomma
l'ennesima copia di tutti gli ultimi dischi di Lemmy. Soliti riff,
soliti suoni, solita voce trascinata di Lemmy, e un altro tentativo
di replicare Ace Of Spades, tentativo
fallito con Queen Of
The Damned. Da
segnalare il blues di Lost
Woman Blues che
probabilmente si rivela la traccia migliore del disco, ma anche End
Of Time è degna di
nota.
E
se ci troviamo davanti alla solita ripetizione dei dischi dei
Motorhead perché si dovrebbe ascoltare questo disco? Per i motivi
citati prima, Lemmy è un'icona che merita comunque rispetto, i riff
sono sempre i soliti ma sono potenti e veloci come in passato, è un
disco che sa di essere non perfetto e non pretende ascolti ripetuti
ed approfonditi, ma è un ascolto facile, quarantacinque minuti da
passare in compagnia di una delle più famose band Metal che non
pretende di insegnarci nulla.
Ritorno
ambizioso e in grande stile per la band metal più famosa del globo.
Un film con protagonisti gli stessi membri della band, e ad
accompagnarlo un disco dal vivo che altro non è che la colonna
sonora del film stesso.
Un
film con protagonista una band è un esperimento che ha pochi eguali
nel mondo della musica. Forse nessuna la band che si era spinta fino
a tanto nel corso della propria carriera. E i Metallica potrebbero
fare apripista a un incrocio di mondi che si sono sempre sfiorati
negli ultimi anni. Sotto la direzione del regista Nimród
Antal ( Vacancy ) sarà nei cinema il 28 e 29 Ottobre.
Il
film è diviso in due parti, una parte dedicata alla band e uno a una
storia parallela che si svolge durante un loro concerto. Mentre la
band è impegnata sul palco in uno show esclusivo, un loro roadie (
il giovane Dane DeHaan già visto in Chronicle e prossimamente in The
Amazing Spiderman 2 ) è intento nel recupero di una misteriosa borsa
indispensabile per la band.
Nel
film il ruolo dei Metallica è quello più consono alla band, infatti
li si vede impegnati sul palco nell'esecuzione di alcuni dei loro
maggiori successi, con scenografie altamente spettacolari e
difficilmente ripetibili in una tournée vera a propria. Le riprese
grazie alla tecnologia IMAX e al 3D sono di una qualità incredibile
e danno quasi il senso di essere sul palco insieme ai Four Horsemen.
La
parte da approfondire di più è quella del film vero e proprio. Il
giovane Trip intraprende un viaggio per il recupero di questo
materiale, un viaggio che ben presto lascerà la strada maestra per
diventare una sorta di incubo surreale, in cui si troverà ad
affrontare prove assai ardue. Quello che viene messo sullo schermo
può essere letto come una sorta di metafora, come un ripercorrere
gli anni della band, visto che anche in questo caso il viaggio prende
una piega diversa a seguito di un incidente stradale ( vedi morte di
Cliff Burton ), e il protagonista si trova a combattere contro dei
demoni che possono essere associati a tutti i travagli che la band ha
dovuto vivere nel corso degli anni. È una sorta di percorso ciclico
che li vede toccare un apice per poi tornare indietro come un ritorno
alle origini, e questo fatto è evidenziato anche da quello che
succede sul palco, oltre che dalle disavventure del giovane Trip.
L'uscita
del film è accompagnata anche da un disco dal vivo che altro non è
che la colonna sonora di questo lavoro. Una colonna sonora che va a
pescare tra i maggiori successi della band, limitando i brani degli
ultimi lavori. Da veri intenditori è l'esecuzione nei titoli di coda
di Orion, uno dei brani più amati dai fans dei Metallica.
Visto
che di esperimento si tratta è difficile anche da giudicare.
Sicuramente non si tratta di un capolavoro, ma sicuramente di
un'ottima occasione per vedere i Metallica suonare in un contesto
diverso dall'abitudine, in cui la qualità delle immagini da uno
sprint in più. Anche l'unire due mondi come la musica e il cinema
potrebbe rivelarsi un esperimento riuscito e non mi stupirei di
vedere in futuro altre band cimentarsi in esperienze simili.
Nel
mondo del rock si tende spesso a mitizzare soprattutto cantanti e
chitarristi. Sono loro le star di questo mondo, quelli che con i loro
assoli e i loro acuti tendono a restare impressi nelle menti e nelle
orecchie di chi ascolta. Ogni tanto c'è gloria anche per quelli che
stanno dietro le pelli, che pestando forte si guadagnano una certa
fama. E di solito per ultimi arrivano quelli che suonano “la
chitarra più lunga e con meno corde”. Solitamente è l'ultimo ad
essere citato quando si elencano le formazioni musicali, a volte i
loro nomi non sono neanche ricordati, vengono considerati come i meno
talentuosi, ma spesso sono dei personaggi di livello uguale se non
superiore a quelli che sono considerate le star.
Partiamo
con quelli che “ce l'hanno fatta”. Si perché alcuni ce l'hanno
fatta. Nel senso che sono riconosciuti come vere e proprie star,
anche se probabilmente il fatto di mettere a disposizione della band
anche la loro voce, ha sicuramente influenzato la loro ascesa. Lemmy
Kilmister è i Motorhead, da lui creati e da lui portati avanti in
quasi quarant'anni, senza mai togliere il basso dalla spalla. Sting
prima di intraprendere la carriera solista è stato a lungo voce e
basso dei Police, una delle band più innovative a cavallo tra gli
anni '70 e '80. Il suo carisma, oltre alla notevole tecnica, lo hanno
portato a essere uno dei grandi miti del rock. E cosa dire poi di Sir
Paul McCartney? È stato protagonista della più importante pagina
che la musica ricordi ( I Beatles per i più disattenti ) sempre
accompagnato dal suo basso, che tutt'ora lo accompagna nelle sue
esibizioni dal vivo.
Ma
come detto all'inizio, non per tutti la situazione è la stessa. Per
tutti quelli che sono ormai delle icone a livello planetario,
esistono diversi casi di bassisti che militano o hanno militato in
alcune delle più grandi band di sempre, ma di cui il nome spesso
sfugge alla massa. I casi forse più eclatanti sono quelli di John
Paul Jones e John Entwistle. E se per Jones suonare all'ombra del
trio Plant – Page – Bohnam avrebbe fatto passare in secondo piano
qualsiasi bassista al mondo, nonostante la tecnica sopraffina di John
Paul, per quel che riguarda Entwistle era una figura centrale
all'interno delle melodie degli Who. A riprova di questo vediamo
spesso figurare il bassista degli Who al primo posto nelle varie
classifiche del ruolo. Ma nonostante fosse al centro a livello
musicale, a livello mediatico erano gli altri tre a fare sempre
notizia, visto anche il carattere mite e poco appariscente di
Entwistle rispetto alle bizzarrie di Keith Moon o Pete Towshend. Un
altro nella situazione appena descritto è Jeff Ament bassista dei
Pearl Jam. La band è di Eddie Vedder, la star è Eddie Vedder e
sembra che gli altri siano solo contorno. Jeff Ament negli anni è
stato anche autore di moltissimi brani della band di Seattle, ma i
fan meno attenti non vanno oltre la gigante ombra del frontman.
Poi abbiamo quel tipo di bassisti,
che anche non mettendo la voce al servizio della band, sono le vere e
proprie anime dei rispettivi gruppi. Flea dei Red Hot Chili Peppers è
sempre stato riconosciuto come il miglior musicista della band
Angelina, che con i suoi giri di basso è sempre stato il principale
artefice del successo del gruppo. La dimostrazione della sua
grandezza come musicista è data anche dal recente progetto parallelo
degli Atoms For Peace, in cui insieme a Thom Yorke, ha mostrato
grandissime doti anche in uno stile completamente diverso da quello
che ha suonato per anni con Frusciante e Kiedis.
Steve Harris sono quasi quarant'anni
che è la mente dietro agli Iron Maiden, di cui è stato il
fondatore. Idolatrato dai fans della band metal, è il principale
autore dei brani dei Maiden, in cui però lascia spazio
principalmente a voce e chitarre.
Per i Metallica il bassista è sempre
stato il ruolo più difficoltoso da ricoprire. E i problemi con il
basso sono iniziati proprio dopo la scomparsa del primo che ha
ricoperto il ruolo. Cliff Burton è stato colui che ha dato la svolta
a livello artistico per quelli che poi sarebbero diventati i Four
Horsemen. Il suo stile musicale ha influenzato gli altri tre
musicisti che calcavano il palco con lui, portandoli a registrare un
trittico di dischi che ha pochi eguali nella storia ( Kill 'Em All,
Ride The Lightning, Master Of Puppets ). Dopo la sua dipartita è
cominciato un lento declino per la band californiana, dovuto anche a
un progressivo abbandono della linea melodica di Burton.
Un capitolo a parte lo meritano due
dei più famosi esponenti del ruolo. Roger Waters e Sid Vicious.
Genio e sregolatezza. Se da una parte Roger Waters è stato la mente,
l'autore e infine il distruttore dei Pink Floyd, dall'altra parte Sid
Vicious è stato il vero emblema del punk. Due personaggi agli
antipodi. Tecnica e genialità per Roger, contro la più totale
incapacità da parte di Sid. Waters è da più parti indicato come
una delle icone della musica moderna, capace di ideare dischi come
The Wall e The Dark Side Of The Moon, che a tutt'oggi dopo
quarant'anni suonano ancora di una modernità spaventosa. Dall'altra
parte Sid Vicious era totalmente ignaro di come si suonasse il basso,
ma il suo fare aggressivo e spudorato lo portarono a essere il
simbolo di un movimento, e come lo stesso movimento si è
autodistrutto in brevissimo tempo.
Come detto spesso vengono dimenticati
ma è anche vero che alcuni di loro hanno fatto la storia della
musica. Ne sono stati citati solo alcuni ma la lista sarebbe
lunghissima, quasi tutti inseribili nelle categorie elencate. Resta e
resterà sempre il ruolo più difficile da ricoprire in qualsiasi
band, perché tutti vogliono suonare la chitarra e fare assoli
mozzafiato, ma in pochi sono disposti a tenere il tempo e il ritmo di
tutte le canzoni di una band, per poi non essere mai citati quando si
elencano i componenti di un gruppo.
Ritorno della band di Glasgow
dopo lo scioglimento avvenuto nel 2010 dopo il secondo album Here
We Stand, e dopo che i tre
ragazzi scozzesi si sono dedicati a diversi progetti solisti.
Il
percorso dei tre scozzesi è quello seguito da diverse band, un primo
disco non eccellente ma trascinato da una hit che è tuttora un
tormentone ( Chelsea Dagger
), un secondo lavoro non all'altezza seguito dalla scelta di
sciogliersi probabilmente per carenza di idee. Visto anche il non
eccezionale successo dei progetti solisti, la scelta di tornare con
un terzo disco. Un
disco atteso nella speranza di veder crescere dal punto di vista
artistico questa band, speranza che già dai primi ascolti risulta
vana. Lo stile della band è sempre il solito, musica scanzonata
quasi adolescenziale, senza profondità alcuna. Si
provano diverse strade, da un simil-blues ( Halloween Blues
) a un Rock & Roll più accentuato ( Jeannie Nitro e
This Old Ghost Town )
a cui fanno seguito anche tentativi di emulare la band indie per
eccellenza di questo periodo, gli Arctic Monkeys ( She's
Not Gone Yet But She's Leaving e
This Is Not The End Of The World
)che però se non sei
Alex Turner e soci difficilmente riesci nel tentativo.
Se
l'obiettivo era quello di fare un disco per far ballare usando le
chitarre allo stile dei connazionali Franz Ferdinand, forse alcune
traccie riescono anche nell'intento, ma nel complesso un disco che
non lascerà traccia in chi lo ascolta, buono per passare una
quarantina di minuti di tranquillità senza pretese, ma che già da
quando si preme il tasto Stop sarà dimenticato.
Tracklist
: 1.
Halloween Blues 2.
This Old Ghost Town 3.
She’s Not Gone Yet But She’s Leaving 4.
Seven Nights, Seven Days 5.
Shotgun Shoes 6.
Whisky Saga 7.
This Is Not the End of the World 8.
Jeannie Nitro 9.
We Need Medicine 10.
Rock ‘n’ Roll Will Break Your Heart 11.
Until She Saves My Soul
Dopo sei anni dall'ultimo lavoro
Di rabbia e Di Stelle
del 2007, seguito dal rilancio di popolarità portatogli dalla
vittoria al Festival di Sanremo 2011 con Chiamami
Ancora Amore,
ecco tornare con un disco di inediti uno dei grandi maestri della
musica d'autore italiana.
Di
acqua sotto i ponti in questi anni ne è passata tanta. Dal 2007 a
oggi oltre la vittoria a Sanremo, con uno dei pezzi più belli che il
Festival ha ascoltato negli ultimi dieci anni, Vecchioni ha dovuto
combattere contro un tumore a un rene, battaglia vinta, ed è notizia
degli ultimi giorni la sua possibile candidatura al Nobel per la
Letteratura, in compagnia di mostri sacri come Bob Dylan e Leonard
Cohen.
Ora
Vecchioni torna con un disco che riporta il cantautorato italiano al
posto che merita, cioè ai vertici artistici del nostro paese. E come
dimostrato da altri due mostri sacri del genere, Guccini con L'Ultima
Thule e De Gregori con Sulla
Strada, questo album del
Professore sta a dimostrare che quando si hanno qualità e capacità
il passare degli anni non influisce sulla composizione artistica.
Anzi si assume una sempre maggior consapevolezza in quello che si sta
facendo.
La
componente autobiografica del disco è quasi totale, Vecchioni riesce
nell'impresa di mettere tutte le sue emozioni e angoscie vissute in
questi ultimi anni in versi.
Quando
combatti contro un male che per i più risulta imbattibile, e riesci
a uscirne vincitore, è chiaro che la tua prospettiva sulla vita
tende a cambiare. E Vecchioni lo mette in musica. Il
Miracolo Segreto e soprattutto
Ho Conosciuto Il Dolore
affronta il tema della malattia, arrivando al punto di mandarlo a
fanculo. Ma sono anche altri gli aspetti della vita del Prof. Che
mette nel disco. Due Madri è
la storia di sua figlia e della sua compagna nella difficoltà di
avere un figlio, in cui lancia un chiaro messaggio sul suo pensiero
invitando la nipote a fregarsene del giudizio esterno. Donne tema
centrale anche di Wislava Szymborska e
in Le Mie Donne, quest'ultima
quasi un'ode al sesso femminile in tutte le sue rappresentazioni di
madri, mogli e figlie. Passando per Stelle
la storia di un viaggio in mare in cui però il capitano maledice le
stelle che lo hanno guidato fino a quel momento, si arriva alla
titletrack Io Non Appartengo Più
un accorato grido rivolto al mondo moderno, in cui già dal titolo
Vecchioni fa capire di non sentirsi partecipe.
Roberto
Vecchioni ribadisce ancora una volta come la musica di qualità in
Italia è possibile farla, e non per forza si è costretti a far
musica per le sole classifiche. Un ritorno in grande stile che farà
contenti tutti gli amanti un certo tipo di musica italiana, che
sapranno trovare in questo disco un ottimo lavoro di uno dei maggiori
poeti italiani.
Decimo disco in studio per la
band di Eddie Vedder e soci. Il gruppo di Seattle torna dopo quattro
anni da Backspacer ultimo
lavoro in studio per i sei musicisti americani, chiamati a dimostrare
ancora una volta di essere una delle migliori band al mondo, dopo il
non esaltante ultimo lavoro.
Backspacer
era un disco normale, molto lineare, che per molte band avrebbe
rappresentato un grandissimo lavoro, ma se la band in questione sono
i Pearl Jam, questo lavoro può essere tra i peggiori della carriera.
In questi quattro anni i membri del gruppo si sono dati parecchio da
fare tra dischi solisti ( Eddie Vedder, Stone Gossard e Jeff Ament ),
reunion di band ormai sciolte ( Matt Cameron con i SoundGarden ) e
celebrazioni per i vent'anni di carriera. Ma non riescono a stare
troppo lontani dalla loro musica, quindi eccoli tornare. I due
singoli che hanno anticipato hanno forse portato fuori strada quasi
tutti i fans dei Pearl Jam. Se Mind Your Manners
era un pezzo punk che ricordava diversi lavori passati, Sirens
è una splendida ballata che
grazie alla voce di Vedder raggiunge un livello elevatissimo.
Se
i due brani sentiti in queste settimane potevano far pensare a un
disco sulla falsariga del precedente lavoro, basta arrivare alla
terza traccia My Father's Son
per capire che qualcosa va cambiando con il basso a farla da padrone
e se non fosse per la voce di Eddie non sembrerebbero neanche i Pearl
Jam. Ma è da Infallible
che il disco inizia a allontanarsi quasi completamente dai suoni
storici della band, con il suo andamento sincopato. Pendulum
è una ballata sommessa che
anticipa Swallowed Whole
che con i suoi toni quasi pop potrebbe far storcere il naso a più di
qualcuno. Con Let The Records Play
si torna di nuovo a cambiare direzione, con un blues che richiama il
loro vecchio amico Neil Young. Il trittico finale sembra uscire
direttamente da un disco solista di Eddie Vedder, e se Sleeping
By Myself era presente appunto
in Ukulele Songs
le ultime due traccie, Yellow
Moon e
Future Days, non
fanno altro che esaltare ai massimi livelli la voce di Vedder. Ma il
vero capolavoro lo troviamo a metà del disco, la titletrack
Lightning Bolt
che sembra presa direttamente dai lavori di venti anni fa, e che farà
felici i fan di vecchia data della band.
È il disco migliore dei Pearl
Jam? No. È un disco che rimarrà nei cuori dei fans? Probabilmente
si. I Pearl Jam cercano di reinventarsi, e di andare a scoprire
strade nuove rispetto a ultimi lavori molto più lineari e sarà solo
il tempo a dirci se avevano ragione. La sola certezza che resta è
che Eddie Vedder si dimostra ancora una volta uno dei più
carismatici e versatili interpreti di questi ultimi venti anni.