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martedì 26 maggio 2015

Recensione Appino - Grande Raccordo Animale

DISCLAIMER: Qualsiasi cosa dirò riguardo il nuovo lavoro di Appino dovrà esser preso con le molle. Per due semplici e validi motivi. Primo, negli ultimi anni gli Zen Circus sono la band italiana che ho ascoltato di più, e visto più volte dal vivo. Di conseguenza credo di risultare abbastanza di parte in qualsiasi commento li riguardi. Secondo, e più affettivo, quando è nato questo blog la prima recensione che pubblicai fu quella de Il Testamento, quindi Appino ha di diritto un posto nel mio cuore. Ora partiamo con Grande Raccordo Animale, che di cose da dire ne offre parecchie.

Il Circo Zen si è fermato di nuovo e dopo vario girovagare tra New York e il Nord Africa, Appino ci offre il suo secondo lavoro da solista. Partiamo da un assunto. Se vi aspettate un lavoro alla Zen Circus o sugli standard de Il Testamento, non lo troverete. Perché nel frattempo Appino è cambiato, o forse ancor più semplicemente è cresciuto e maturato. Non c'è la violenza emotiva che spingeva il primo lavoro, ci sono solo alcuni tratti delle storie che racconta con gli Zen, c'è forse un'apertura a un mondo finora sconosciuto, o forse solamente ignorato. Appino ci guarda, e si guarda, e racconta quello che vede. Un mondo pieno di persone confinate in un Grande Raccordo Animale, costretti a girare per l'eternità senza che da questa autostrada ci dia un'uscita. Costretti a girare nelle proprie vite misere e molto spesso poco interessanti.
E il cambiamento si nota anche dal punto di vista musicale, che abbandona quasi totalmente “l'indie” per come lo si vuole intendere, per provare e sperimentare come mai il cantante pisano ha provato a fare nella sua carriera. Si passa dalla produzione di Giulio Ragno Favero nelle mani di Paolo Baldini (ex Africa Unite) e già dalla prima traccia ( Ulisse) spunta un ritmo in levare ad accompagnare l'ideale viaggio che si sta per affrontare, ma come canta Appino, Itaca non c'è”. Ma è con la titletrack che ci scontriamo per la prima volta con le novità. Grande Raccordo Animale è pervasa di un ritmo mediterraneo, per certi versi un pezzo pop nel senso però più alto del termine. Se New York rispolvera le chitarre che ci hanno accompagnato in tutti i suoi lavori precedenti, La volpe e l'elefante si presenta come il pezzo più inaspettato del lotto, con il suo mix di elettronica, musica etnica e rock. Un pezzo che può bastare da solo a rappresentare tutto l'album, con la sua voglia di staccarsi dal passato.



L'anima però ti resta attaccata addosso anche se provi a rinnegarla, e Rockstar e NabucoDonosor fanno riemergere in parte quelle ballate amare che avevano fatto la fortuna de Il Testamento. E la finale Tropico Del Cancro, che con “Quattro accordi messi in croce” ci racconta con toni amari e soprattutto disincantati la vita dell'artista costretto sempre ad essere all'altezza della situazione. Un pezzo di stampo Gucciniano che si erge fin da subito a instant classic della discografia di Appino.
Provare a cambiare per cercare qualcosa di migliore. O più semplicemente per aprirsi a un mondo nuovo, un mondo per te inesplorato, ma senza per questo cambiare di nulla quello che sei. Cercando di arrivare a più gente possibile, perché in fondo nessuno fa musica per tenerla per se stesso. Appino rischia e regala un disco difficile. Un disco che al primo ascolto fa storcere la bocca ai fan duri e puri, ma che mano a mano che lo si ascolta trasforma quella smorfia in un sorriso di approvazione. 

martedì 19 maggio 2015

Recensione Mad Dogs - Niente è come sembra

Arrivare al primo disco dopo quasi un lustro di attività può avere dei suoi vantaggi. Di certo arrivi al debutto già parecchio rodato. E con le idee ben chiare. Questo è quello che emerge ascoltando Niente è come sembra, primo disco dei Mad Dogs, band marchigiana in vita dal 2009.
Non si inventa nulla, si sa quello che si vuole fare e lo si fa in maniera quadrata e decisa. Nove traccie rock, senza troppi giri, che vanno dirette all'ascoltatore. Si guarda all'Hard Rock di stampo più classico, chitarre a farla da padrone e una sana attitudine rock. Ma si sa cambiare anche ritmo e rallentare il passo ( Vorrei uscire un po' di qua, Avanti a me) e farlo ripartire forse anche più forte di prima. Se la prima metà del disco non regala nulla di eclatante, nella seconda parte appunto la band cambia passo sfornando cinque pezzi decisamente validi, con la ritmica di Senza Tempo a farla da padrone, e il lungo assolo finale di Avanti a me a chiudere un lavoro buonissimo.
In questi tempi di loop elettronici e pop elevato, sentire un disco di sano e onesto Hard Rock non può che essere un bene. Se poi è anche di ottimo livello direi che Niente è come sembra è una scelta obbligata. 


domenica 17 maggio 2015

Recensione Dissidio - Thisorientamento

Una voce di Capovilliana memoria ci introduce a un disco, come una voce fuori campo ci introduce a uno spettacolo teatrale. Su il sipario, arrivano i Dissidio. Ed l'introduzione di Ciao Ciao (pt.1) che ci fa entrare in questo dialogo surreale tra due persone di cui non frega nulla all'una dell'altra. Una sorta di opera rock dai connotati teatrali, con il cantato che spesso lascia lo spazio al dialogo, alla recitazione, e un certo gusto per la teatralità. Peccato che quando si va a teatro difficilmente si possa sentire quello che offrono i Dissidio in questo Thisorientamento.
Riff assassini, ritmiche pressanti, testi surreali al limite del grottesco che ci raccontano un mondo cupo e disilluso perlomeno nei rapporti umani. Tratteggi di Nu-metal si alternano a visioni acide, brani che cercano di sfuggire a ogni categorizzazione, ma che sanno di essere rock. Perlomeno come indole. E che fanno di questo Thisorientamento un debutto con il botto. Perché miscelare così perfettamente suoni devastanti, testi psicologicamente violenti e un sano gusto per lo spettacolo è di una difficoltà rara, ma il trio calabrese ne esce alla grandissima.


E quando alla fine si chiude il sipario, e la stessa voce che ci aveva introdotto ci domanda “Che volete, che volete ancora?” uno strano senso di alienazione alberga in chi ha appena sentito il disco. E in fin dei conti non è questo il vero motivo di essere per la musica, come per il teatro? Non è creare emozioni forti a chi ascolta, il vero motivo per suonare?

Recensione Flying Vaginas - Beware Of Long Delayed Youth

Per me i Flying Vaginas sono come un ectoplasma. Ne avevo sentito parlare, me ne avevano esaltato le doti, ma vuoi per pigrizia o più verosimilmente per mancanza di tempo non avevo ascoltato il loro primo lavoro And That's Why We Can't Have Nice Things. Ora con l'arrivo del nuovo Beware Of Long Delayed Youth mi sono messo d'impegno e ho recuperato anche il loro primo lavoro. E inizio a comprendere le lodi che mi erano arrivate all'orecchio.
Figli dell'Alternative Rock di fine anni '80, figli dei Pixies, dei Jesus And Mary Chains ed anche un po' dei Sonic Youth, i Flying Vaginas si allontanano di molto dallo standard delle band indie in giro in questo periodo in Italia. Loro guardano più indietro e il risultato è eccellente. Chitarre dilaniate, atmosfere rarefatte, il Lo-Fi come unico credo. Ed un crescendo finale ( Blessed Child, Patched Up, e la titletrack Beware Of Long Delayed Youth) che si trasforma da un esplosione iniziale di suoni velenosi ad un viaggio onirico e sognante nelle sfumature della mente.


Beware Of Long Delayed Youth è un notevole passo avanti rispetto al primo lavoro. Molto più maturo, sia nella scrittura che nella produzione, che regala una band di quelle da evidenziare tra quelle che girano in questo periodo. I Flying Vaginas non inventano nulla, ma guardano al passato e ce lo riportano all'oggi, ma il loro sguardo volge verso lidi che oggi sono poco battuti, ma indubbiamente meritano di essere rivisti e riapprezzati.

Recensione Fucina28 - La pace dei sensi - il Nulla

Ci sono dischi che si ascoltano e basta. Altri che stimolano anche altri sensi. Il secondo disco dei Fucina28 è un disco che stimola l'olfatto, come fosse un odore. O forse una puzza. Una puzza di realtà, di fatica, di un mondo che è sempre più brutto. La pace dei sensi- Il Nulla puzza di verità.
I Fucina28 ci regalano un secondo lavoro intenso, che pesca a piene pani dal rock indipendente italiano degli ultimi vent'anni, creandosi però una propria identità. Chitarre serrate ( Terrore) e richiami ai concittadini Zen Circus ( Riflessione dei trent'anni, Nel paese di Pinocchio) o agli Afterhours ( Te stesso) ma anche la capacità di rallentare e riflettere ( L'incostanza Vol. II).

Sia ben chiaro, non si tratta di un lavoro perfetto. Ma di certo è un ulteriore passo avanti rispetto al primo lavoro, e progredire è sempre un merito. C'è da lavorare ancora su alcuni passaggi, ma la strada è quella giusta. La pace dei sensi – il Nulla è un disco che si potrebbe definire puro, che non vuole scendere a compromessi, e come tale si tiene i suoi pregi e i suoi difetti cosciente del fatto che sono frutto di una gran voglia di fare.

mercoledì 6 maggio 2015

Recensione Mataleòn - Jumping The Shark - 124C41+

Mataleòn – Prospettiva di un'idea

L'Italia è famosa per tante cose. Tra queste non c'è l'Hard Rock, specialmente cantato nella nostra lingua. Quindi se una band si cimenta con questo genere nella nostra lingua madre è un po' come camminare sulle uova. Il rischio di rompere tutto è altissimo. Ma i lombardi Mataleòn si destreggiano più che degnamente in questo campo. Il loro primo EP, Prospettiva di un'idea, offre sei brani che si rifanno alla gloriosa storia dell'Hard Rock. Ampi assoli, voce che si innalza a picchi elevati, una ballata che ormai è consuetudine nei dischi di questo tipo ( Il foglio bianco).Debutto decisamente buono per i Mataleòn, che non si discostano molto dalla tradizione del genere, ma lo fanno con la voglia di chi vuole emergere e questo non può che essere un bene.


124C41+

L'oscurità ti avvolge e ti sovrasta. Ti senti perduto e l'unica cosa che riesci a fare è gridare urla strazianti che si perdono nel vuoto. Questa è la sensazione che lascia addosso l'ascolto dell'EP degli 124C41+ ( che sta per One to foresee for One another preso da un romanzo di fantascienza scritto da Hugo Gernsback). Calma totale che esplode improvvisamente in suoni violenti e dilaniati. I quattro ragazzi ternani si rifanno a una certa attitudine post-rock nordeuropea per realizzare questo cupo lavoro. Venti minuti divisi in tre brani sono pochini per capire fino in fondo una band, ma le premesse sono ottime. L'attesa per un lavoro sulla lunga distanza sono certo che verrà ripagata dalla band.


Jumping The Shark – Sogni Pesaresi EP

Negli ultimi anni il duo sta tornando prepotentemente in voga tra le band nostrane. I Jumping The Shark, diciannove anni a testa e le idee già ben chiare in testa. Sei brani per questo secondo EP Sogni Pesaresi, e di sogni si tratta. Sogni distorti, che vanno da ballate elettriche ( Buonanotte, Le lacrime del coccodrillo) a indie psichedelico ( Leonardo nel bidone) fino a spingersi ai confini dello stoner ( Stress). Come si presentano loro vanno da Battisti ai Melvins, ma si passa anche per molto di quello che c'è in mezzo.
Altro lavoro che ci fa ben sperare per un disco più lungo, perché le idee e le qualità non mancano.

martedì 5 maggio 2015

Recensione Mumford and Sons - Wilder Mind

All'uscita del singolo Believe erano stati in parecchi a storcere il naso. Più che ascoltare un brano dei Mumford and Sons sembrava di essere davanti a un nuovo singolo dei Coldplay. O di una qualsiasi delle band britanniche che seguono quel filone.
Wilder Mind è senza ombra di dubbio uno dei lavori più attesi di questo 2015, con una band ormai lanciata verso il successo mondiale e che attendeva solo la definitiva consacrazione, che probabilmente verrà raggiunta da questo disco, ma sarà solo una consacrazione commerciale e non artistica. Perché Wilder Mind suona a tutti gli effetti come un disco perfetto per i passaggi radio, per allargarsi a una fetta di pubblico sempre più ampia, ma perde l'anima che contraddistingueva la band inglese.
L'ingresso della batteria nel suono dei Mumford and Sons poteva effettivamente far fare il salto di qualità a quel suond che rifacendosi al passato aveva stimolato una generazione di musicisti un po' statici sulle loro convinzioni. Qualche accenno ai primi due lavori lo si trova ( Just Smoke) ma è un qualche frammento in un lavoro che va del tutto in un'altra direzione.



Scelta abbastanza incomprensibile per la band guidata da Marcus Mumford quella di cambiare totalmente le carte in tavola. Wilder Mind è non nel senso più assoluto un brutto disco, ma suona come altri mille in circolazione. A questo punto non resta che sperare in un ritorno al passato già dal prossimo lavoro, in modo da poter ricordare questo come un esperimento non riuscitissimo.