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domenica 12 luglio 2015

Recensione Jansheer - Jansheer

Perché dei ragazzi dovrebbero imbracciare degli strumenti e mettersi a fare musica? C'è chi lo fa per lavoro, chi lo fa per raggiungere una fama, ma credo che la maggior parte lo facciano per un motivo tanto semplice quanto inaspettato, per divertirsi. È quel bisogno primordiale che ci spinge ad allietarci per superare meno faticosamente questa vita. E per esperienza vi dico ( come se fossi chissà chi) che chi lo fa per divertimento lo fa meglio degli altri.
Ecco sentendo il primo lavoro degli Jansheer ho pensato subito che questi quattro ragazzi veronesi si divertano a suonare. Non perché li conosca, ma lo lasciano trasparire dalla loro musica, dalla leggerezza con cui arriva alle orecchie di chi ascolta. Sia ben chiaro, leggerezza non significa mancanza di spessore. Perché a furia di sentire questo disco di sfaccettature se ne trovano a bizzeffe, come l'aria rarefatta che si respira in Shaaryia o i toni Tex-Mex di State Smell. Ma la leggerezza è probabilmente data dall'incredibile capacità vocale della cantante Ginevra, che riesce ad adattarsi a registri totalmente diversi tra una canzone e l'altra.
Bella prova ragazzi. Continuate così che il futuro è dalla vostra.

Recensione Other Voices - A Way Back

Un giorno qualcuno decise che qualsiasi forma d'arte andava divisa in generi, sottogeneri, categorie e chi più ne ha più ne metta. Da allora passa più tempo a decidere in quale categoria mettere una band, un disco, un film o un quadro che a giudicarne l'effettivo valore. Io sono sempre stato a favore delle categorie alternative, e questo album degli Other Voices lo metterei di diritto nel genere “Dischi che in Italia cagheranno in pochi, ma che all'estero spaccheranno”. Perché di questi tempi in Italia va di moda l'indie, che per carità merita, però non riesce a trovare il giusto spazio chi fa altro. Soprattutto quando lo fa bene. Perché A Way Back principalmente questo è, un disco fatto bene. Con un suono che si sente troppo poco nel nostro paese.

È un secondo lavoro, figlio del gran successo del primo di quasi dieci anni fa ( Anatomy of Pain) ma soprattutto figlio degli anni '80, a cui la band deve tutto. Sister Of Mercy ( con cui condividono il produttore), The Cure ma soprattutto Bauhaus. Strade musicali mai troppo battute nel nostro paese. Non ci sono testi che cantano il male di vivere in cui chi ascolta si immedesima, non ci sono coretti da cantare dal vivo, ci sono cinque ragazzi che sanno quello che vogliono dalla loro musica e lo mettono su disco in modo egregio. E poi se in Italia li seguiremo in pochi sarà un privilegio, sperando che l'ascoltatore italico dia un segno di intelligenza e tributi il giusto merito a questa band.

sabato 11 luglio 2015

"Recensione" Veeblefetzer - No Magic No Bullet

“Ecco, lo sapevo, ho sbagliato CD. Ho messo i Gogol Bordello”
“No no. È quello giusto”
“Ah si? Come si chiamano?”
Veeblefetzer. Il disco si chiama No Magic No Bullet
“Sentiamo, da come sono partiti per me sono i Gogol Bordello”
“Aspetta a giudicare, stiamo alla prima canzone...”
“Vabbè, aspetto. Passami il comunicato stampa, vediamo che dice.”
“Eccolo”
“Quattro ragazzi romani, primo disco. Hanno già fatto un EP. Poi mi mette dieci generi diversi. Mi devo preoccupare?”
“Perché?”
“Mi spaventano questi comunicati in cui c'è dentro tutto. Non sai mai che aspettarti”
“E tu allora ascolta.”
“Ok. Ma Valparaiso. Quella Valparaiso?”
“Credo di si”
“Punto a favore dei ragazzi. E cominciano a sembrarmi sempre meno i Gogol Bordello.”
“Hanno stile...”
“Parecchio pure. Ecco il reggae, era nell'aria.”
“Poi mi spiegherai che problemi hai con il reggae.”
“è una lunga storia. Comunque questi fiati su questo pezzo Dub ci stanno da Dio.”
“Concordo.”
“Oddio, ma questa è The Guns of Brixton dei Clash???
“Si”
“Altro punto a favore dei ragazzi romani col nome strano. E questo arrangiamento è pure buono”
“Ma è tipo un valzer nel finale di How Long? Sto sentendo bene?”
“Così sembra. Torniamo alla storia che hanno stile?”
“A pacchi. Ma quindi poi ripassiamo per il reggae, una sorta di ska e ci hanno spruzzato pure un po' di punk?”
“Già. Però nell'ultima canzone rallentano.”
“La ballata finale, ormai un classico.”
“Quindi? Giudizi?”
“Ti muovi, balli, canti, ti rimuovi, riballi e alla fine sei contento. L'unica cosa forse è che c'è un po' troppa carne al fuoco. A chi non sta attento può sembrare un po' caotica.”
“Appunto, chi non sta attento. Ma pure loro alla fine ci si divertono.”
“Ah, questo è sicuro. E poi vuoi mettere la difficoltà di passare da una cosa all'altra nel giro di tre minuti e farlo così bene?”
“I ragazzi hanno stile.”

“Già...”

Recensione Ottovolante - Re di quadri in trip

Ci sono dischi che stanno bene su tutto. Da soli o in compagnia, di giorno, di notte o quando ti viene meglio. Altri invece hanno un momento tutto loro.
Notte. Di quelle buie che non fanno dormire ma fanno pensare. Metto su il disco, Ottovolante, Re di quadri in trip. All'inizio sembra che voglia farti muovere, ma poi si insinua nella testa, con i suoi ritmi cupi e ossessivi, dilatati e lisergici. Synth e chitarre, testi ridondanti con la voce che si va a nascondere dietro alla musica. E cresce, cresce fino a provare ad esplodere nel finale, cosa che non fa, tornando a chiudersi su se stesso. E quando finisce ti resta in loop in testa, che nel frattempo se ne è andata per affari suoi. E premere di nuovo play è la naturale conseguenza. Poi quando ti rendi conto che una canzone è dedicata all'ispettore Bloch ( chi non sa chi è non lo voglio conoscere) la considerazione per questi tre ragazzi molisani aumenta anche.

Magari non è il disco che ti cambia la vita, ma di certo di svolta la nott