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giovedì 13 agosto 2015

Indiegeno Fest 2015


NICCOLÒ FABI & GNUQUARTET
LEVANTE
COLAPESCE
DIMARTINO
TOMMASO DI GIULIO

INDIEGENO Fest - Generatore di Musica Indipendente
II EDIZIONE / 13 AGOSTO 2015
Organizzazione a cura di Leave Music

TEATRO GRECO, Tindari (ME)

Infoline: email //  tel. 06 45493710
Prevendite aperte su: TicketOne.it // Tickettando.it
Il 13 agosto INDIEGENO FEST, il festival ideato dall’etichetta discografica Leave Music, tornerà ad attivare i suoi ingranaggi per generare nuova musica indie in Sicilia.

Anche quest’anno la “naturale scenografia” è il meraviglioso Teatro Greco di Tindari (ME), "tempio" dell'arte e crocevia di sperimentazioni e contaminazioni artistiche della Magna Grecia.
Giunto alla sua seconda edizione, Indiegeno presenterà alcuni tra i più noti artisti del panorama cantautorale e indie-rock contemporaneo che daranno vita ad uno spettacolo unico fatto di suoni non convenzionali, con atmosfere e suggestioni classiche restituite dallo scenario che li ospita.
Gli artisti che saliranno sul palco dell’Indiegeno Fest saranno Niccolò Fabi e Gnuquartet - Colapesce -Levante - Dimartino - Tommaso Di Giulio.
La mission del festival è di sensibilizzare il pubblico alle bellezze artistico-naturali del territorio attraverso uno spettacolo che fa della ricerca e della qualità il proprio vessillo.

Sarà il MEI – Meeting delle Etichette Indipendenti - ad inaugurare la seconda edizione di Indiegeno Fest: i percorsi degli "stati generali della nuova musica" sbarcano in Sicilia, scegliendo proprio la manifestazione ideata da Leave Music come prima volta nell'isola che sta diventando un vero fermento per quanto riguarda la cultura.
Interverranno Giordano Sangiorgi, presidente del MEI, Alberto Quartana, direttore artistico di Leave Music e di Indiegeno Fest, Massimo Magaldi del Meeting del Mare e tanti altri. Si tratta di un incontro aperto a tutti gli operatori musicali e agli artisti della Sicilia e non, in cui vi sarà anche l’opportunità per gli emergenti di far ascoltare i propri demo. Il tutto avverrà dalle 17.00, prima dell'apertura dei cancelli (h.18.30) e dell’inizio dei live.

Organizzazione: Il Festival è organizzato da Leave Music, etichetta discografica indipendente


domenica 12 luglio 2015

Recensione Jansheer - Jansheer

Perché dei ragazzi dovrebbero imbracciare degli strumenti e mettersi a fare musica? C'è chi lo fa per lavoro, chi lo fa per raggiungere una fama, ma credo che la maggior parte lo facciano per un motivo tanto semplice quanto inaspettato, per divertirsi. È quel bisogno primordiale che ci spinge ad allietarci per superare meno faticosamente questa vita. E per esperienza vi dico ( come se fossi chissà chi) che chi lo fa per divertimento lo fa meglio degli altri.
Ecco sentendo il primo lavoro degli Jansheer ho pensato subito che questi quattro ragazzi veronesi si divertano a suonare. Non perché li conosca, ma lo lasciano trasparire dalla loro musica, dalla leggerezza con cui arriva alle orecchie di chi ascolta. Sia ben chiaro, leggerezza non significa mancanza di spessore. Perché a furia di sentire questo disco di sfaccettature se ne trovano a bizzeffe, come l'aria rarefatta che si respira in Shaaryia o i toni Tex-Mex di State Smell. Ma la leggerezza è probabilmente data dall'incredibile capacità vocale della cantante Ginevra, che riesce ad adattarsi a registri totalmente diversi tra una canzone e l'altra.
Bella prova ragazzi. Continuate così che il futuro è dalla vostra.

Recensione Other Voices - A Way Back

Un giorno qualcuno decise che qualsiasi forma d'arte andava divisa in generi, sottogeneri, categorie e chi più ne ha più ne metta. Da allora passa più tempo a decidere in quale categoria mettere una band, un disco, un film o un quadro che a giudicarne l'effettivo valore. Io sono sempre stato a favore delle categorie alternative, e questo album degli Other Voices lo metterei di diritto nel genere “Dischi che in Italia cagheranno in pochi, ma che all'estero spaccheranno”. Perché di questi tempi in Italia va di moda l'indie, che per carità merita, però non riesce a trovare il giusto spazio chi fa altro. Soprattutto quando lo fa bene. Perché A Way Back principalmente questo è, un disco fatto bene. Con un suono che si sente troppo poco nel nostro paese.

È un secondo lavoro, figlio del gran successo del primo di quasi dieci anni fa ( Anatomy of Pain) ma soprattutto figlio degli anni '80, a cui la band deve tutto. Sister Of Mercy ( con cui condividono il produttore), The Cure ma soprattutto Bauhaus. Strade musicali mai troppo battute nel nostro paese. Non ci sono testi che cantano il male di vivere in cui chi ascolta si immedesima, non ci sono coretti da cantare dal vivo, ci sono cinque ragazzi che sanno quello che vogliono dalla loro musica e lo mettono su disco in modo egregio. E poi se in Italia li seguiremo in pochi sarà un privilegio, sperando che l'ascoltatore italico dia un segno di intelligenza e tributi il giusto merito a questa band.

sabato 11 luglio 2015

"Recensione" Veeblefetzer - No Magic No Bullet

“Ecco, lo sapevo, ho sbagliato CD. Ho messo i Gogol Bordello”
“No no. È quello giusto”
“Ah si? Come si chiamano?”
Veeblefetzer. Il disco si chiama No Magic No Bullet
“Sentiamo, da come sono partiti per me sono i Gogol Bordello”
“Aspetta a giudicare, stiamo alla prima canzone...”
“Vabbè, aspetto. Passami il comunicato stampa, vediamo che dice.”
“Eccolo”
“Quattro ragazzi romani, primo disco. Hanno già fatto un EP. Poi mi mette dieci generi diversi. Mi devo preoccupare?”
“Perché?”
“Mi spaventano questi comunicati in cui c'è dentro tutto. Non sai mai che aspettarti”
“E tu allora ascolta.”
“Ok. Ma Valparaiso. Quella Valparaiso?”
“Credo di si”
“Punto a favore dei ragazzi. E cominciano a sembrarmi sempre meno i Gogol Bordello.”
“Hanno stile...”
“Parecchio pure. Ecco il reggae, era nell'aria.”
“Poi mi spiegherai che problemi hai con il reggae.”
“è una lunga storia. Comunque questi fiati su questo pezzo Dub ci stanno da Dio.”
“Concordo.”
“Oddio, ma questa è The Guns of Brixton dei Clash???
“Si”
“Altro punto a favore dei ragazzi romani col nome strano. E questo arrangiamento è pure buono”
“Ma è tipo un valzer nel finale di How Long? Sto sentendo bene?”
“Così sembra. Torniamo alla storia che hanno stile?”
“A pacchi. Ma quindi poi ripassiamo per il reggae, una sorta di ska e ci hanno spruzzato pure un po' di punk?”
“Già. Però nell'ultima canzone rallentano.”
“La ballata finale, ormai un classico.”
“Quindi? Giudizi?”
“Ti muovi, balli, canti, ti rimuovi, riballi e alla fine sei contento. L'unica cosa forse è che c'è un po' troppa carne al fuoco. A chi non sta attento può sembrare un po' caotica.”
“Appunto, chi non sta attento. Ma pure loro alla fine ci si divertono.”
“Ah, questo è sicuro. E poi vuoi mettere la difficoltà di passare da una cosa all'altra nel giro di tre minuti e farlo così bene?”
“I ragazzi hanno stile.”

“Già...”

Recensione Ottovolante - Re di quadri in trip

Ci sono dischi che stanno bene su tutto. Da soli o in compagnia, di giorno, di notte o quando ti viene meglio. Altri invece hanno un momento tutto loro.
Notte. Di quelle buie che non fanno dormire ma fanno pensare. Metto su il disco, Ottovolante, Re di quadri in trip. All'inizio sembra che voglia farti muovere, ma poi si insinua nella testa, con i suoi ritmi cupi e ossessivi, dilatati e lisergici. Synth e chitarre, testi ridondanti con la voce che si va a nascondere dietro alla musica. E cresce, cresce fino a provare ad esplodere nel finale, cosa che non fa, tornando a chiudersi su se stesso. E quando finisce ti resta in loop in testa, che nel frattempo se ne è andata per affari suoi. E premere di nuovo play è la naturale conseguenza. Poi quando ti rendi conto che una canzone è dedicata all'ispettore Bloch ( chi non sa chi è non lo voglio conoscere) la considerazione per questi tre ragazzi molisani aumenta anche.

Magari non è il disco che ti cambia la vita, ma di certo di svolta la nott

lunedì 29 giugno 2015

Recensione La Governante - La Nouvelle Stupèfiante

Tappeti elettronici, attitudine post-punk, cupezza via via sempre crescente, ma soprattutto tante, tante idee. Questo in sintesi il primo lavoro de La Governante, La Nouvelle stupèfiante. E un enorme voglia di non seguire il filone indie tanto in voga in Italia di questi tempi.
Se la partenza aggressiva di Finchè tu puoi balla porta la mente a dei novelli Joy Division, Cartoline (dai tuoi viaggi) ci porta alla mente i Verdena, con le chitarre dilaniate e un testo al limite dell'ermetismo. Con passaggi quasi Synth-pop ( Bianconi chansonnier) e derive quasi psichedeliche ( Le scimmie sulla schiena) che rapiscono la mente dell'ascoltatore. Il tutto condito da una vena di inquietudine che attraversa il disco dall'inizio alla fine.
Questi quattro ragazzi siciliani hanno la capacità di variare, in territori sempre troppo poco battuti nel nostro paese, con le capacità di gruppi ben più rodati. Perché parliamo di una band che esiste dal 2013, e ci offre già un disco degno di nota. E con un altro po' di tempo per sviluppare le buone idee messe insieme, chissà cosa potranno regalarci. Valutazione che sale di qualche punto per l'artwork del disco, realizzato dalla pittrice canadese Alexandra Levasseur, che riporta in immagini tutto il senso di incertezza che la band mette in musica. 

martedì 26 maggio 2015

Recensione Appino - Grande Raccordo Animale

DISCLAIMER: Qualsiasi cosa dirò riguardo il nuovo lavoro di Appino dovrà esser preso con le molle. Per due semplici e validi motivi. Primo, negli ultimi anni gli Zen Circus sono la band italiana che ho ascoltato di più, e visto più volte dal vivo. Di conseguenza credo di risultare abbastanza di parte in qualsiasi commento li riguardi. Secondo, e più affettivo, quando è nato questo blog la prima recensione che pubblicai fu quella de Il Testamento, quindi Appino ha di diritto un posto nel mio cuore. Ora partiamo con Grande Raccordo Animale, che di cose da dire ne offre parecchie.

Il Circo Zen si è fermato di nuovo e dopo vario girovagare tra New York e il Nord Africa, Appino ci offre il suo secondo lavoro da solista. Partiamo da un assunto. Se vi aspettate un lavoro alla Zen Circus o sugli standard de Il Testamento, non lo troverete. Perché nel frattempo Appino è cambiato, o forse ancor più semplicemente è cresciuto e maturato. Non c'è la violenza emotiva che spingeva il primo lavoro, ci sono solo alcuni tratti delle storie che racconta con gli Zen, c'è forse un'apertura a un mondo finora sconosciuto, o forse solamente ignorato. Appino ci guarda, e si guarda, e racconta quello che vede. Un mondo pieno di persone confinate in un Grande Raccordo Animale, costretti a girare per l'eternità senza che da questa autostrada ci dia un'uscita. Costretti a girare nelle proprie vite misere e molto spesso poco interessanti.
E il cambiamento si nota anche dal punto di vista musicale, che abbandona quasi totalmente “l'indie” per come lo si vuole intendere, per provare e sperimentare come mai il cantante pisano ha provato a fare nella sua carriera. Si passa dalla produzione di Giulio Ragno Favero nelle mani di Paolo Baldini (ex Africa Unite) e già dalla prima traccia ( Ulisse) spunta un ritmo in levare ad accompagnare l'ideale viaggio che si sta per affrontare, ma come canta Appino, Itaca non c'è”. Ma è con la titletrack che ci scontriamo per la prima volta con le novità. Grande Raccordo Animale è pervasa di un ritmo mediterraneo, per certi versi un pezzo pop nel senso però più alto del termine. Se New York rispolvera le chitarre che ci hanno accompagnato in tutti i suoi lavori precedenti, La volpe e l'elefante si presenta come il pezzo più inaspettato del lotto, con il suo mix di elettronica, musica etnica e rock. Un pezzo che può bastare da solo a rappresentare tutto l'album, con la sua voglia di staccarsi dal passato.



L'anima però ti resta attaccata addosso anche se provi a rinnegarla, e Rockstar e NabucoDonosor fanno riemergere in parte quelle ballate amare che avevano fatto la fortuna de Il Testamento. E la finale Tropico Del Cancro, che con “Quattro accordi messi in croce” ci racconta con toni amari e soprattutto disincantati la vita dell'artista costretto sempre ad essere all'altezza della situazione. Un pezzo di stampo Gucciniano che si erge fin da subito a instant classic della discografia di Appino.
Provare a cambiare per cercare qualcosa di migliore. O più semplicemente per aprirsi a un mondo nuovo, un mondo per te inesplorato, ma senza per questo cambiare di nulla quello che sei. Cercando di arrivare a più gente possibile, perché in fondo nessuno fa musica per tenerla per se stesso. Appino rischia e regala un disco difficile. Un disco che al primo ascolto fa storcere la bocca ai fan duri e puri, ma che mano a mano che lo si ascolta trasforma quella smorfia in un sorriso di approvazione. 

martedì 19 maggio 2015

Recensione Mad Dogs - Niente è come sembra

Arrivare al primo disco dopo quasi un lustro di attività può avere dei suoi vantaggi. Di certo arrivi al debutto già parecchio rodato. E con le idee ben chiare. Questo è quello che emerge ascoltando Niente è come sembra, primo disco dei Mad Dogs, band marchigiana in vita dal 2009.
Non si inventa nulla, si sa quello che si vuole fare e lo si fa in maniera quadrata e decisa. Nove traccie rock, senza troppi giri, che vanno dirette all'ascoltatore. Si guarda all'Hard Rock di stampo più classico, chitarre a farla da padrone e una sana attitudine rock. Ma si sa cambiare anche ritmo e rallentare il passo ( Vorrei uscire un po' di qua, Avanti a me) e farlo ripartire forse anche più forte di prima. Se la prima metà del disco non regala nulla di eclatante, nella seconda parte appunto la band cambia passo sfornando cinque pezzi decisamente validi, con la ritmica di Senza Tempo a farla da padrone, e il lungo assolo finale di Avanti a me a chiudere un lavoro buonissimo.
In questi tempi di loop elettronici e pop elevato, sentire un disco di sano e onesto Hard Rock non può che essere un bene. Se poi è anche di ottimo livello direi che Niente è come sembra è una scelta obbligata. 


domenica 17 maggio 2015

Recensione Dissidio - Thisorientamento

Una voce di Capovilliana memoria ci introduce a un disco, come una voce fuori campo ci introduce a uno spettacolo teatrale. Su il sipario, arrivano i Dissidio. Ed l'introduzione di Ciao Ciao (pt.1) che ci fa entrare in questo dialogo surreale tra due persone di cui non frega nulla all'una dell'altra. Una sorta di opera rock dai connotati teatrali, con il cantato che spesso lascia lo spazio al dialogo, alla recitazione, e un certo gusto per la teatralità. Peccato che quando si va a teatro difficilmente si possa sentire quello che offrono i Dissidio in questo Thisorientamento.
Riff assassini, ritmiche pressanti, testi surreali al limite del grottesco che ci raccontano un mondo cupo e disilluso perlomeno nei rapporti umani. Tratteggi di Nu-metal si alternano a visioni acide, brani che cercano di sfuggire a ogni categorizzazione, ma che sanno di essere rock. Perlomeno come indole. E che fanno di questo Thisorientamento un debutto con il botto. Perché miscelare così perfettamente suoni devastanti, testi psicologicamente violenti e un sano gusto per lo spettacolo è di una difficoltà rara, ma il trio calabrese ne esce alla grandissima.


E quando alla fine si chiude il sipario, e la stessa voce che ci aveva introdotto ci domanda “Che volete, che volete ancora?” uno strano senso di alienazione alberga in chi ha appena sentito il disco. E in fin dei conti non è questo il vero motivo di essere per la musica, come per il teatro? Non è creare emozioni forti a chi ascolta, il vero motivo per suonare?

Recensione Flying Vaginas - Beware Of Long Delayed Youth

Per me i Flying Vaginas sono come un ectoplasma. Ne avevo sentito parlare, me ne avevano esaltato le doti, ma vuoi per pigrizia o più verosimilmente per mancanza di tempo non avevo ascoltato il loro primo lavoro And That's Why We Can't Have Nice Things. Ora con l'arrivo del nuovo Beware Of Long Delayed Youth mi sono messo d'impegno e ho recuperato anche il loro primo lavoro. E inizio a comprendere le lodi che mi erano arrivate all'orecchio.
Figli dell'Alternative Rock di fine anni '80, figli dei Pixies, dei Jesus And Mary Chains ed anche un po' dei Sonic Youth, i Flying Vaginas si allontanano di molto dallo standard delle band indie in giro in questo periodo in Italia. Loro guardano più indietro e il risultato è eccellente. Chitarre dilaniate, atmosfere rarefatte, il Lo-Fi come unico credo. Ed un crescendo finale ( Blessed Child, Patched Up, e la titletrack Beware Of Long Delayed Youth) che si trasforma da un esplosione iniziale di suoni velenosi ad un viaggio onirico e sognante nelle sfumature della mente.


Beware Of Long Delayed Youth è un notevole passo avanti rispetto al primo lavoro. Molto più maturo, sia nella scrittura che nella produzione, che regala una band di quelle da evidenziare tra quelle che girano in questo periodo. I Flying Vaginas non inventano nulla, ma guardano al passato e ce lo riportano all'oggi, ma il loro sguardo volge verso lidi che oggi sono poco battuti, ma indubbiamente meritano di essere rivisti e riapprezzati.

Recensione Fucina28 - La pace dei sensi - il Nulla

Ci sono dischi che si ascoltano e basta. Altri che stimolano anche altri sensi. Il secondo disco dei Fucina28 è un disco che stimola l'olfatto, come fosse un odore. O forse una puzza. Una puzza di realtà, di fatica, di un mondo che è sempre più brutto. La pace dei sensi- Il Nulla puzza di verità.
I Fucina28 ci regalano un secondo lavoro intenso, che pesca a piene pani dal rock indipendente italiano degli ultimi vent'anni, creandosi però una propria identità. Chitarre serrate ( Terrore) e richiami ai concittadini Zen Circus ( Riflessione dei trent'anni, Nel paese di Pinocchio) o agli Afterhours ( Te stesso) ma anche la capacità di rallentare e riflettere ( L'incostanza Vol. II).

Sia ben chiaro, non si tratta di un lavoro perfetto. Ma di certo è un ulteriore passo avanti rispetto al primo lavoro, e progredire è sempre un merito. C'è da lavorare ancora su alcuni passaggi, ma la strada è quella giusta. La pace dei sensi – il Nulla è un disco che si potrebbe definire puro, che non vuole scendere a compromessi, e come tale si tiene i suoi pregi e i suoi difetti cosciente del fatto che sono frutto di una gran voglia di fare.

mercoledì 6 maggio 2015

Recensione Mataleòn - Jumping The Shark - 124C41+

Mataleòn – Prospettiva di un'idea

L'Italia è famosa per tante cose. Tra queste non c'è l'Hard Rock, specialmente cantato nella nostra lingua. Quindi se una band si cimenta con questo genere nella nostra lingua madre è un po' come camminare sulle uova. Il rischio di rompere tutto è altissimo. Ma i lombardi Mataleòn si destreggiano più che degnamente in questo campo. Il loro primo EP, Prospettiva di un'idea, offre sei brani che si rifanno alla gloriosa storia dell'Hard Rock. Ampi assoli, voce che si innalza a picchi elevati, una ballata che ormai è consuetudine nei dischi di questo tipo ( Il foglio bianco).Debutto decisamente buono per i Mataleòn, che non si discostano molto dalla tradizione del genere, ma lo fanno con la voglia di chi vuole emergere e questo non può che essere un bene.


124C41+

L'oscurità ti avvolge e ti sovrasta. Ti senti perduto e l'unica cosa che riesci a fare è gridare urla strazianti che si perdono nel vuoto. Questa è la sensazione che lascia addosso l'ascolto dell'EP degli 124C41+ ( che sta per One to foresee for One another preso da un romanzo di fantascienza scritto da Hugo Gernsback). Calma totale che esplode improvvisamente in suoni violenti e dilaniati. I quattro ragazzi ternani si rifanno a una certa attitudine post-rock nordeuropea per realizzare questo cupo lavoro. Venti minuti divisi in tre brani sono pochini per capire fino in fondo una band, ma le premesse sono ottime. L'attesa per un lavoro sulla lunga distanza sono certo che verrà ripagata dalla band.


Jumping The Shark – Sogni Pesaresi EP

Negli ultimi anni il duo sta tornando prepotentemente in voga tra le band nostrane. I Jumping The Shark, diciannove anni a testa e le idee già ben chiare in testa. Sei brani per questo secondo EP Sogni Pesaresi, e di sogni si tratta. Sogni distorti, che vanno da ballate elettriche ( Buonanotte, Le lacrime del coccodrillo) a indie psichedelico ( Leonardo nel bidone) fino a spingersi ai confini dello stoner ( Stress). Come si presentano loro vanno da Battisti ai Melvins, ma si passa anche per molto di quello che c'è in mezzo.
Altro lavoro che ci fa ben sperare per un disco più lungo, perché le idee e le qualità non mancano.

martedì 5 maggio 2015

Recensione Mumford and Sons - Wilder Mind

All'uscita del singolo Believe erano stati in parecchi a storcere il naso. Più che ascoltare un brano dei Mumford and Sons sembrava di essere davanti a un nuovo singolo dei Coldplay. O di una qualsiasi delle band britanniche che seguono quel filone.
Wilder Mind è senza ombra di dubbio uno dei lavori più attesi di questo 2015, con una band ormai lanciata verso il successo mondiale e che attendeva solo la definitiva consacrazione, che probabilmente verrà raggiunta da questo disco, ma sarà solo una consacrazione commerciale e non artistica. Perché Wilder Mind suona a tutti gli effetti come un disco perfetto per i passaggi radio, per allargarsi a una fetta di pubblico sempre più ampia, ma perde l'anima che contraddistingueva la band inglese.
L'ingresso della batteria nel suono dei Mumford and Sons poteva effettivamente far fare il salto di qualità a quel suond che rifacendosi al passato aveva stimolato una generazione di musicisti un po' statici sulle loro convinzioni. Qualche accenno ai primi due lavori lo si trova ( Just Smoke) ma è un qualche frammento in un lavoro che va del tutto in un'altra direzione.



Scelta abbastanza incomprensibile per la band guidata da Marcus Mumford quella di cambiare totalmente le carte in tavola. Wilder Mind è non nel senso più assoluto un brutto disco, ma suona come altri mille in circolazione. A questo punto non resta che sperare in un ritorno al passato già dal prossimo lavoro, in modo da poter ricordare questo come un esperimento non riuscitissimo.

martedì 28 aprile 2015

Recensione Management Del Dolore Post-Operatorio - I Love You

Due dischi nell'arco di dodici mesi per una band sono una sorta rarità di questi tempi. Ma il Management del Dolore Post-Operatorio ci ha insegnato che le convenzioni non fanno per loro, quindi eccoli arrivare con il loro terzo lavoro, I Love You che arriva appunto un anno dopo il fortunato McMao.
Il senso di questa nuova uscita è da cercare nell'ultima traccia di questo nuovo lavoro, Lasciateci Divertire, che in fondo è lo spirito della band abruzzese. È il divertimento, loro e del pubblico, che trascina la musica di questi artisti. E in questo nuovo lavoro lo fanno alquanto bene, tornando sulla strada maestra segnata da Auff!! lasciando da parte gli esperimenti elettronici che accompagnavano il precedente lavoro. Guidati magistralmente da Giulio Ragno Favero ( Teatro degli Orrori) alla produzione, Il Management del Dolore Post-Operatorio riprende le chitarre e le rende nuovamente protagoniste del loro disco. E se si parte con una canzone “d'amore” a modo loro ( Se ti sfigurassero con l'acido), già dal secondo brano Scimmie ( anche primo singolo estratto dal disco) la via da percorrere è ben chiara, con l'indie pop che gli ha dato notorietà a farla da padrone. I soliti testi pervasi d'ironia che ormai sono un tratto distintivo della band, che continuano a raccontare di quelle brutture delle nostre vite.



I Love You risulta un disco di facile ascolto, ma con una profondità comunque importante. Un disco che segue la propria strada andando a calcare la mano sui punti di forza della band. Un album che si fa risentire molto volentieri.

Recensione Blur - The Magic Whip

Immaginate una band che si ritrova per un reunion dopo anni di separazione. Immaginateli che per annoiare l'attesa di cinque giorni liberi ad Hong Kong decidono di ammazzare il tempo in studio di registrazione a suonare. Immaginate che dopo un anno il chitarrista Graham Coxon rimette mano a quel materiale e provi a tirarne fuori un album. Immaginate i quattro componenti della band che, a sorpresa, un paio di mesi fa annunciano l'uscita di un nuovo disco di inediti. Aprite gli occhi e vi troverete davanti The Magic Whip, primo disco in studio dei Blur da dodici anni a questa parte.
E di acqua sotto i ponti nel frattempo ne è passata tanta. Damon Alban diviso tra Gorillaz e disco solista, Coxon con le sue prove molto più vicine ai suoni classici della band. Ed è proprio la contrapposizione tra i due, quella che aveva portato allo scioglimento del gruppo, quella che da vita a questo nuovo album. Si cerca di far convivere le diverse anime che vivono all'interno di questi artisti, dopo oltre una decade di altre esperienze.
E il risultato è un mix di queste anime, in cui Coxon in fase di produzione è andato a limare la personalità enorme di Alban per creare un qualcosa che si avvicini il più possibile a un lavoro di gruppo, che a un altra prova di grandezza del frontman. E se mettendo il disco nel lettore sembra di essere catapultati ai tempi di Parklife con Lonesome Street, già dal secondo pezzo ( New World Towers) i suoni di Everyday Robots si fanno presenti e importanti. Suoni che ricompaiono in My Terracotta Heart ballata minimale sul rapporto tra le due anime della band. Ma l'equilibrio lo si raggiunge tra i vari brani, andando ad alternare pezzi dichiaratamente pop ( Ong Ong, Go Out), pezzi che costeggiano il funk ( Ghost Ship) e brani più ad orientamento rock ( I Broadcast).


Dobbiamo gridare al capolavoro? No. Abbiamo davanti un bel disco? Si. I Blur riescono a regalare un album che è qualcosa in più rispetto a una semplice raccolta di brani fatti in questi anni. Ha la forma di un disco, che non raggiunge l'apice dei grandi lavori della band, ma che alla fine dell'ascolto ti fa venir voglia di ricominciare ad ascoltarlo.

venerdì 24 aprile 2015

Recensione Great Lake Swimmers - A Forest Of Arms

Territori sconfinati, natura selvaggia, specchi d'acqua che sembrano infiniti. Questo è il ricordo che ho di quei due giorni passati in Canada. E la colonna sonora ideale di quei giorni sarebbe stata di certo la musica dei Great Lake Swimmers, se solo all'epoca fossero esistiti. Ora arriva il loro sesto album in studio, A Forest of Arms successore di New Wild Everywhere del 2012.
Sono parecchie le band che cercano di rispecchiare la tradizione della propria terra, ma poche riescono a fornire le sensazioni che una terra riesce a darti. Tony Dekker e compagni riescono a donare con i loro suoni tutte le emozioni e le inquietudini che quei che quella terra riesce ad offrire. I suoni sono quelli di sempre, non variano molto dallo spartito composto con i precedenti lavori, ma il tutto viene fatto con un eleganza che non può non lasciare affascinati.
Sonorità folk ( Something Like a Storm, A Bird Flew Inside The House), momenti più riflessivi ( Don't Leave Me Hanging, I Was a Wayward Pastel Bay, Expecting You), archi che fanno capolino qua e là ( One More Charge At The Red Cape) il tutto pervaso da un fondo di malinconia tipica di chi in quelle lande infinite ci è nato e cresciuto. The Great Bear è una piccola perla all'interno di un disco comunque di buonissimo livello.



Lasciare la strada vecchia può essere un rischio. Rischio che non decidono di correre i Great Lake Swimmers e probabilmente fanno bene. Difficilmente si trovano band che arrivate al sesto disco non ne hanno sbagliato neanche uno, e riescono a non sbagliare neanche con questo A Forest of Arms. Forse non una pietra miliare nella storia della musica, ma un lavoro che mantiene in alto l'asticella di questa band.

giovedì 23 aprile 2015

Recensione Post-CSI - Breviario Partigiano

Il vero significato del 25 Aprile si sta lentamente perdendo con il passare degli anni. Vuoi per la graduale scomparsa di chi a fatto si che quella giornata fosse possibile, vuoi per una sorta di revisionismo storico in atto nel nostro paese, la data del 25 Aprile 1945 non ha più quel valore che ricopriva per le generazioni che ci hanno preceduto. E come spesso accade è compito degli artisti fare in modo che questa memoria non vada persa. Lo si è fatto nel 1995 grazie al comune di Correggio che mise insieme diversi artisti, tra cui i CSI, Marlene Kuntz, Africa Unite, nella raccolta Materiale Resistente per i cinquant'anni dalla Liberazione. Lo hanno fatto dieci anni fa i Modena City Ramblers con Appunti Partigiani, in cui rileggevano canti popolari insieme a diversi ospiti. Nel suo piccolo lo ha fatto Francesco Guccini nel suo ultimo disco L'ultima Thule con i brani Quel giorno d'Aprile e Su in collina. E ora per il settantennale lo fanno i Post-CSI con questo Breviario Partigiano, nato da un'idea di Massimo Zamboni che porta in dote racconti raccolti in questi anni sulla sua storia familiare, legata a doppio filo a quella della resistenza.
E questo progetto porta a un disco, un film e un libro realizzati grazie ai fans, che nel Crowdfounding organizzato per il progetto hanno raccolto il necessario nell'arco di ventiquattro ore e con il resto hanno potuto pure procedere alla distribuzione nei negozi del progetto, non riservandolo solamente ai finanziatori.
Il disco che fa da colonna sonora al film Il Nemico – Un Breviario Partigiano rimette insieme Massimo Zamboni, Giorgio Canali, Gianni Maroccolo e Francesco Magnelli, già insieme nei CCCP prima e nei CSI dopo, e vede l'aggiunta della voce di Angela Baraldi, e come da reunion ormai datata 2013 si nota la mancanza di Giovanni Lindo Ferretti.
Breviario Partigiano non punta a mettere in risalto le qualità musicali dei singoli, ormai già note a tutti, ma si concentra sulle storie, sulle sensazioni, su quello che a tratti sembra essere un grido disperato di chi non vuole essere dimenticato. E rispetto ai già citati omaggi degli ultimi due decenni ha la forza di sembrare davvero un disco, e non solo un collage di pezzi che fanno parte della nostra cultura popolare. Tra brani inediti ( Il nemico, Senza domande e Breviario Partigiano) ripescaggi dalla discografia dei CSI ed esecuzioni live prese dal tour del 2013, i Post-CSI riescono a dare un senso a questo materiale dal forte impatto culturale. E la sublimazione è nella chiusura di 29 Febbraio in cui è lo stesso Zamboni a narrare la storia del proprio nonno materno, fascista ucciso dai partigiani.


Progetti di questo tipo sono sempre borderline. Si rischia facilmente di trasformare il tutto in un operazione nostalgia, sia per i temi trattati che per la storia dei componenti riuniti per l'occasione. Ma quando i nomi in ballo sono tra quelli che hanno segnato indelebilmente la storia della musica italiana tutti i dubbi vengono dissipati da un lavoro omogeneo e vero. Un lavoro potrebbe essere un episodio a se stante, ma che potrebbe pure far venir voglia a questi meravigliosi artisti di tornare a fare qualcosa insieme, che non siano tour di ricordo dei tempi andati. 

martedì 21 aprile 2015

Recensione Lydia Lunch Retrovirus - Urge To Kill

I would be humiliated if I found out that anything I did actually became a commercial success.


E lo spirito è rimasto lo stesso. Il successo commerciale sarebbe umiliante e quindi Lydia Lunch con i Retrovirus va a ripescare da quel suo repertorio che di tutto cercava tranne il successo. E lo fa rivivere con lo stesso spirito con cui era stato concepito in origine, una potente tempesta di suoni distorti, accompagnati da un canto disperato, quasi un lamento.

Lydia Lunch va a prendere a piene mani dai suoi lavori ormai storici ( 13.13, Honeymoon In Red, In Limbo, Queen Of Siam) e ci regala anche la cover di un brano degli amici Suicide ( Frankie Teardrop). E se la partenza di Snakepit Breakdown volge lo sguardo al periodo più noise della sua produzione, e nella mezzo del disco che troviamo un tris di brani che incendiano l'album. Still Burning col suo incedere lento fino all'esplosione di distorsioni, la già citata Frankie Teardrop decisamente più acida della versione originale e Fields Of Fire che si rifà a sonorità molto più vicine all'Alternative Rock venuto dopo il suo periodo di massimo splendore.




Urge To Kill fa rivivere in maniera diversa alcuni pezzi della gloriosa carriera di Lydia Lunch. Ma non gli fa perdere lo spirito originale, perché se è vero che con il tempo si matura e si cambia, la cantante americana non sembra esserne molto d'accordo:


I'm nihilistic, antagonistic, violent, horrible - but not obliterated, yet. I just refuse to be beaten down. I think it's stubborness that keeps me going.”

Il disco è disponibile nelle versioni: CD, vinile colorato in tiratura limitata a 299 copie, esclusivo box limitato a 99 copie con vinile colorato, DVD e gadgets



Distribuzione: Audioglobe (Italy, ROW), Broken Silence (Germania, Europa), MDV
(Stati Uniti, Canada)

Label: Rustblade Contatti Label: info@rustblade.com web: www.rustblade.com 

lunedì 20 aprile 2015

Recensione La Sindrome della Morte Improvvisa - Derice - (Re)Offender

LA SINDROME DELLA MORTE IMPROVVISA – DI BLATTA IN BLATTA

Secondo EP per i quattro musicisti brianzoli. Abbandonato il Noise del primo lavoro, con questo Di blatta in blatta i toni si fanno molto più pesanti e vicini allo Stoner, con qualche sfumatura verso il Metal. Quattro brani per circa venticinque minuti di musica, in cui Kosakof spicca dal resto per varietà e impatto, mentre la chiusura Sfiati nel cranio sembra quasi essere un grido disperato nel suo incedere pesante.
Buon lavoro per La Sindrome della morte improvvisa, che rischia cantando in italiano in un genere che non è ben avvezzo alla nostra lingua. Ora li attendiamo sulla lunga distanza.


(RE)OFFENDER – (RE)OFFENDER

Secondo EP per i (Re)Offender. Suoni onirici con un ampio respiro internazionale, linee vocali che si mescolano con chitarre e synth, suoni eleganti per un non banale pop. Forse a tratti un po' ridondante nelle scelte musicali, ma di sicuro di elevata qualità. E il singolo Meeting of Feeling è una piccola perla che fa il sunto di quanto detto finora.
(Re)Offender può essere un buon viatico per aprire parecchie porte, sia in Italia che all'estero. Suoni che da noi non sono così riconoscibili, potrebbero essere la fortuna di questa band.



DERICE – ABLE TO FLY

Sonorità britanniche, ricordi di Damien Rice ( Elle) o dei Kodaline ( Right Shoes, Tainted Love) o comunque di sonorità eleganti sentite negli ultimi anni. Un arrangiamento al limite della perfezione e una produzione ottima rendono questo primo EP dei Derice un'ottima base di partenza per un futuro radioso. Un pop raffinato che tende a evadere la banalizzazione, con scelte musicali abbastanza diverse tra i quattro brani.
Able To Fly sembra essere il classico lavoro che raccoglierà più consensi all'estero che in Italia, viste le sonorità così distanti da quello che ci offre il pop italiano su grossa scala.



domenica 5 aprile 2015

Claudio Simonetti Demons 30th years anniversary

Il cinema horror è probabilmente il genere in cui c'è bisogno di legare alle immagini la musica giusta. Riuscire a restituire la giusta tensione del genere con la musica è un'impresa alquanto complessa. E la storia ci dice che i migliori in questa speciale categoria sono stati di certo i Goblin. La band italiana ha aiutato Dario Argento a fare la propria fortuna, così come il regista romano a aiutato la band a diventare famosa in tutto il mondo.
Nel 1985 il leader della band, Claudio Simonetti musicò la colonna sonora di Demoni, forse il capolavoro di Lamberto Bava, che vede nuova luce ora a trent'anni dall'uscita. E se per lunghissimi tratti della sua carriera Simonetti aveva dato libero sfogo della magia del Prog, in Demoni erano gli anni '80 ad aver preso il sopravvento, ed ecco arrivare l'elettronica a farla da padrone, con il Prog un po' in declino. E Simonetti nella sua sapienza musicale ha saputo adattarsi alla perfezione, riuscendo a creare trame intense e paurose anche cambiando totalmente stile. E la musica riesce a dare, se possibile, ancor più ritmo alle immagini sullo schermo.


Creare una colonna sonora perfetta è sempre complicato, ma Claudio Simonetti è sempre stato maestro in questo. E quella di Demoni va di diritto tra le migliori, perché ha saputo dare una sferzata diversa rispetto a quello che lo aveva portato al successo mondiale. 

venerdì 3 aprile 2015

Caparezza @Palalottomatica Roma 02/04/2015

“Qualcuno dovrà patire le pene dell'inferno per l'acustica del Palalottomatica”. È il mio primo pensiero ogni volta che esco dal palazzo dello sport di Roma dopo un concerto. E dopo il concerto di Caparezza di ieri sera il pensiero è stato lo stesso. Un'acustica indegna, soprattutto per uno show come quello che ha tirato fuori il “rapper” di Molfetta.
La definizione di Rapper è ormai un diminutivo per Caparezza, vista che anche la sua musica da tempo ha preso una strada diversa. Ed anche il suo show si è trasformato in uno spettacolo totale, capace di unire arte e musica, momenti divertenti e momenti più seri. Show che non perde neanche ritmo neanche durante i numerosi cambi di scenografia, ottimamente riempiti da video surreali sull'arte ( su tutti quello che vede protagonista Pierpaolo Capovilla) e dall'interazione tra Capa e il suo pubblico, che pende letteralmente dalle labbra dell'artista pugliese.
Spettacolo che ovviamente pone in risalto i brani tratti dall'ultimo Museica, ma che non disdegna un ripescaggio di brani dai precedenti lavori, soprattutto dai due album precedenti ( Le dimensioni del mio caos e Il sogno eretico) con ovviamente i grandi successi a riscuotere i più grandi boati, anche se la partecipazione del pubblico non è mai venuta meno. E se su Vieni a ballare in Puglia o Sono fuori dal tunnel la reazione del pubblico era abbastanza scontata, ecco che su nuovi pezzi la folla si esalta allo stesso modo, concedendo una lunga standing ovation per China Town, il pezzo più intimo scritto finora da Caparezza, e che il pubblico romano sempre aver capito appieno.


Ma il vero mattatore della serata è lui, in grado di gestire il proprio pubblico a piacimento e a farlo pendere dalle proprie labbra. E lui non si risparmia per il suo pubblico. Quasi due ore e mezza in cui Caparezza è una scheggia impazzita sul palco, pronto a cambiare abito per ogni canzone e a cercar di far aprire gli occhi sul vero significato di alcuni suoi brani.
Uno show che ha le carte in regola per essere ricordato per molto tempo, purtroppo non viene accompagnato da una location all'altezza. Ma questo non è un difetto imputabile a Caparezza che anzi, si dimostra uno showman degno di palcoscenici sempre più ampi.