| |||||
|
Pagine
▼
giovedì 13 agosto 2015
Indiegeno Fest 2015
domenica 12 luglio 2015
Recensione Jansheer - Jansheer
Perché dei ragazzi dovrebbero
imbracciare degli strumenti e mettersi a fare musica? C'è chi lo fa
per lavoro, chi lo fa per raggiungere una fama, ma credo che la
maggior parte lo facciano per un motivo tanto semplice quanto
inaspettato, per divertirsi. È quel bisogno primordiale che ci
spinge ad allietarci per superare meno faticosamente questa vita. E
per esperienza vi dico ( come se fossi chissà chi) che chi lo fa per
divertimento lo fa meglio degli altri.
Ecco sentendo il primo lavoro degli
Jansheer ho pensato subito
che questi quattro ragazzi veronesi si divertano a suonare. Non
perché li conosca, ma lo lasciano trasparire dalla loro musica,
dalla leggerezza con cui arriva alle orecchie di chi ascolta. Sia ben
chiaro, leggerezza non significa mancanza di spessore. Perché a
furia di sentire questo disco di sfaccettature se ne trovano a
bizzeffe, come l'aria rarefatta che si respira in
Shaaryia o
i toni Tex-Mex di State
Smell.
Ma la leggerezza è probabilmente data dall'incredibile capacità
vocale della cantante Ginevra,
che riesce ad adattarsi a registri totalmente diversi tra una canzone
e l'altra.
Bella
prova ragazzi. Continuate così che il futuro è dalla vostra.
Recensione Other Voices - A Way Back
Un giorno qualcuno decise che qualsiasi
forma d'arte andava divisa in generi, sottogeneri, categorie e chi
più ne ha più ne metta. Da allora passa più tempo a decidere in
quale categoria mettere una band, un disco, un film o un quadro che a
giudicarne l'effettivo valore. Io sono sempre stato a favore delle
categorie alternative, e questo album degli Other Voices lo
metterei di diritto nel genere “Dischi che in Italia cagheranno in
pochi, ma che all'estero spaccheranno”. Perché di questi tempi in
Italia va di moda l'indie, che per carità merita, però non riesce a
trovare il giusto spazio chi fa altro. Soprattutto quando lo fa bene.
Perché A Way Back
principalmente questo è, un disco fatto bene. Con un suono che si
sente troppo poco nel nostro paese.
È un
secondo lavoro, figlio del gran successo del primo di quasi dieci
anni fa ( Anatomy of Pain)
ma soprattutto figlio degli anni '80, a cui la band deve tutto.
Sister Of Mercy ( con cui condividono il produttore), The Cure ma
soprattutto Bauhaus. Strade musicali mai troppo battute nel nostro
paese. Non ci sono testi che cantano il male di vivere in cui chi
ascolta si immedesima, non ci sono coretti da cantare dal vivo, ci
sono cinque ragazzi che sanno quello che vogliono dalla loro musica e
lo mettono su disco in modo egregio. E poi se in Italia li seguiremo
in pochi sarà un privilegio, sperando che l'ascoltatore italico dia un segno di intelligenza e tributi il giusto merito a questa band.
sabato 11 luglio 2015
"Recensione" Veeblefetzer - No Magic No Bullet
“Ecco, lo sapevo, ho sbagliato CD. Ho
messo i Gogol Bordello”
“Ah si? Come si chiamano?”
“Veeblefetzer. Il
disco si chiama No Magic No Bullet”
“Sentiamo, da come sono partiti per
me sono i Gogol Bordello”
“Aspetta a giudicare, stiamo alla
prima canzone...”
“Vabbè, aspetto. Passami il
comunicato stampa, vediamo che dice.”
“Eccolo”
“Quattro ragazzi romani, primo disco.
Hanno già fatto un EP. Poi mi mette dieci generi diversi. Mi devo
preoccupare?”
“Perché?”
“Mi spaventano questi comunicati in
cui c'è dentro tutto. Non sai mai che aspettarti”
“E tu allora ascolta.”
“Ok. Ma Valparaiso. Quella
Valparaiso?”
“Credo di si”
“Punto a favore
dei ragazzi. E cominciano a sembrarmi sempre meno i Gogol Bordello.”
“Hanno stile...”
“Parecchio pure.
Ecco il reggae, era nell'aria.”
“Poi mi
spiegherai che problemi hai con il reggae.”
“è una lunga
storia. Comunque questi fiati su questo pezzo Dub ci stanno da Dio.”
“Concordo.”
“Oddio, ma questa
è The Guns of Brixton dei
Clash???”
“Si”
“Altro punto a
favore dei ragazzi romani col nome strano. E questo arrangiamento è
pure buono”
“Ma è tipo un
valzer nel finale di How Long? Sto sentendo bene?”
“Così sembra.
Torniamo alla storia che hanno stile?”
“A pacchi. Ma
quindi poi ripassiamo per il reggae, una sorta di ska e ci hanno
spruzzato pure un po' di punk?”
“Già. Però
nell'ultima canzone rallentano.”
“La ballata
finale, ormai un classico.”
“Quindi?
Giudizi?”
“Ti muovi, balli,
canti, ti rimuovi, riballi e alla fine sei contento. L'unica cosa
forse è che c'è un po' troppa carne al fuoco. A chi non sta attento
può sembrare un po' caotica.”
“Appunto, chi non
sta attento. Ma pure loro alla fine ci si divertono.”
“Ah, questo è
sicuro. E poi vuoi mettere la difficoltà di passare da una cosa
all'altra nel giro di tre minuti e farlo così bene?”
“I ragazzi hanno
stile.”
“Già...”
Recensione Ottovolante - Re di quadri in trip
Ci sono dischi che stanno bene su tutto. Da soli o in compagnia, di
giorno, di notte o quando ti viene meglio. Altri invece hanno un
momento tutto loro.
Notte.
Di quelle buie che non fanno dormire ma fanno pensare. Metto su il
disco, Ottovolante,
Re di quadri in trip. All'inizio
sembra che voglia farti muovere, ma poi si insinua nella testa, con i
suoi ritmi cupi e ossessivi, dilatati e lisergici. Synth e chitarre,
testi ridondanti con la voce che si va a nascondere dietro alla
musica. E cresce, cresce fino a provare ad esplodere nel finale, cosa
che non fa, tornando a chiudersi su se stesso. E quando finisce ti
resta in loop in testa, che nel frattempo se ne è andata per affari
suoi. E premere di nuovo play è la naturale conseguenza. Poi quando
ti rendi conto che una canzone è dedicata all'ispettore Bloch ( chi
non sa chi è non lo voglio conoscere) la considerazione per questi
tre ragazzi molisani aumenta anche.
Magari non è il disco che ti cambia la vita, ma di certo di svolta
la nott
lunedì 29 giugno 2015
Recensione La Governante - La Nouvelle Stupèfiante
Tappeti elettronici,
attitudine post-punk, cupezza via via sempre crescente, ma
soprattutto tante, tante idee. Questo in sintesi il primo lavoro de
La Governante, La
Nouvelle stupèfiante. E
un enorme voglia di non seguire il filone indie tanto in voga in
Italia di questi tempi.
Se
la partenza aggressiva di Finchè
tu puoi balla porta
la mente a dei novelli Joy Division, Cartoline
(dai tuoi viaggi) ci
porta alla mente i Verdena, con le chitarre dilaniate e un testo al
limite dell'ermetismo. Con passaggi quasi Synth-pop ( Bianconi
chansonnier)
e derive quasi psichedeliche ( Le
scimmie sulla schiena)
che rapiscono la mente dell'ascoltatore. Il tutto condito da una vena di inquietudine che attraversa il disco dall'inizio alla fine.
Questi
quattro ragazzi siciliani hanno la capacità di variare, in territori
sempre troppo poco battuti nel nostro paese, con le capacità di
gruppi ben più rodati. Perché parliamo di una band che esiste dal
2013, e ci offre già un disco degno di nota. E con un altro po' di
tempo per sviluppare le buone idee messe insieme, chissà cosa
potranno regalarci. Valutazione che sale di qualche punto per
l'artwork del disco, realizzato dalla pittrice canadese Alexandra
Levasseur, che riporta in immagini tutto il senso di incertezza che
la band mette in musica.
martedì 26 maggio 2015
Recensione Appino - Grande Raccordo Animale
DISCLAIMER: Qualsiasi cosa dirò
riguardo il nuovo lavoro di Appino dovrà esser preso con le
molle. Per due semplici e validi motivi. Primo, negli ultimi anni gli
Zen Circus sono la band italiana che ho ascoltato di più, e visto
più volte dal vivo. Di conseguenza credo di risultare abbastanza di
parte in qualsiasi commento li riguardi. Secondo, e più affettivo,
quando è nato questo blog la prima recensione che pubblicai fu
quella de Il Testamento, quindi
Appino ha
di diritto un posto nel mio cuore. Ora partiamo con Grande
Raccordo Animale, che
di cose da dire ne offre parecchie.
Il
Circo Zen si è fermato di nuovo e dopo vario girovagare tra New York
e il Nord Africa, Appino
ci
offre il suo secondo lavoro da solista. Partiamo da un assunto. Se vi
aspettate un lavoro alla Zen Circus o sugli standard de Il
Testamento,
non lo troverete. Perché nel frattempo Appino
è cambiato, o forse ancor più semplicemente è
cresciuto e maturato. Non c'è la violenza emotiva che spingeva il
primo lavoro, ci sono solo alcuni tratti delle storie che racconta con gli
Zen, c'è forse un'apertura a un mondo finora sconosciuto, o forse
solamente ignorato. Appino
ci
guarda, e si guarda, e racconta quello che vede. Un mondo pieno di
persone confinate in un Grande Raccordo Animale,
costretti a girare per l'eternità senza che da questa autostrada ci
dia un'uscita. Costretti a girare nelle proprie vite misere e molto spesso poco
interessanti.
E
il cambiamento si nota anche dal punto di vista musicale, che
abbandona quasi totalmente “l'indie” per come lo si vuole
intendere, per provare e sperimentare come mai il cantante pisano ha
provato a fare nella sua carriera. Si passa dalla produzione di
Giulio Ragno Favero nelle mani di Paolo Baldini (ex Africa Unite) e
già dalla prima traccia ( Ulisse)
spunta un ritmo in levare ad accompagnare l'ideale viaggio che si sta
per affrontare, ma come canta Appino, “Itaca
non c'è”.
Ma è con la titletrack che ci scontriamo per la prima volta con le
novità. Grande
Raccordo Animale è
pervasa di un ritmo mediterraneo, per certi versi un pezzo pop nel
senso però più alto del termine. Se New
York
rispolvera le chitarre che ci hanno accompagnato in tutti i suoi
lavori precedenti, La
volpe e l'elefante
si presenta come il pezzo più inaspettato del lotto, con il suo mix
di elettronica, musica etnica e rock. Un pezzo che può bastare da
solo a rappresentare tutto l'album, con la sua voglia di staccarsi
dal passato.
L'anima
però ti resta attaccata addosso anche se provi a rinnegarla, e
Rockstar e
NabucoDonosor
fanno riemergere in parte quelle ballate amare che avevano fatto la
fortuna de Il
Testamento. E
la finale Tropico
Del Cancro,
che con “Quattro
accordi messi in croce”
ci racconta con toni amari e soprattutto disincantati la vita
dell'artista costretto sempre ad essere all'altezza della situazione.
Un pezzo di stampo Gucciniano che si erge fin da subito a instant
classic della discografia di Appino.
Provare
a cambiare per cercare qualcosa di migliore. O più semplicemente per
aprirsi a un mondo nuovo, un mondo per te inesplorato, ma senza per
questo cambiare di nulla quello che sei. Cercando di arrivare a più
gente possibile, perché in fondo nessuno fa musica per tenerla per
se stesso. Appino
rischia
e regala un disco difficile. Un disco che al primo ascolto fa
storcere la bocca ai fan duri e puri, ma che mano a mano che lo si
ascolta trasforma quella smorfia in un sorriso di approvazione.
martedì 19 maggio 2015
Recensione Mad Dogs - Niente è come sembra
Arrivare al primo disco dopo quasi un
lustro di attività può avere dei suoi vantaggi. Di certo arrivi al
debutto già parecchio rodato. E con le idee ben chiare. Questo è
quello che emerge ascoltando Niente è come sembra,
primo disco dei Mad
Dogs, band
marchigiana in vita dal 2009.
Non
si inventa nulla, si sa quello che si vuole fare e lo si fa in
maniera quadrata e decisa. Nove traccie rock, senza troppi giri, che
vanno dirette all'ascoltatore. Si guarda all'Hard Rock di stampo più
classico, chitarre a farla da padrone e una sana attitudine rock. Ma
si sa cambiare anche ritmo e rallentare il passo ( Vorrei
uscire un po' di qua, Avanti a me)
e farlo ripartire forse anche più forte di prima. Se la prima metà
del disco non regala nulla di eclatante, nella seconda parte appunto
la band cambia passo sfornando cinque pezzi decisamente validi, con
la ritmica di Senza
Tempo a
farla da padrone, e il lungo assolo finale di Avanti
a me a
chiudere un lavoro buonissimo.
In
questi tempi di loop elettronici e pop elevato, sentire un disco di
sano e onesto Hard Rock non può che essere un bene. Se poi è anche
di ottimo livello direi che Niente è come sembra
è una scelta obbligata.
domenica 17 maggio 2015
Recensione Dissidio - Thisorientamento
Una voce di Capovilliana memoria ci
introduce a un disco, come una voce fuori campo ci introduce a uno
spettacolo teatrale. Su il sipario, arrivano i Dissidio. Ed
l'introduzione di Ciao
Ciao (pt.1) che
ci fa entrare in questo dialogo surreale tra due persone di cui non
frega nulla all'una dell'altra. Una sorta di opera rock dai connotati
teatrali, con il cantato che spesso lascia lo spazio al dialogo, alla
recitazione, e un certo gusto per la teatralità. Peccato che quando
si va a teatro difficilmente si possa sentire quello che offrono i
Dissidio in
questo Thisorientamento.
Riff
assassini, ritmiche pressanti, testi surreali al limite del grottesco
che ci raccontano un mondo cupo e disilluso perlomeno nei rapporti
umani. Tratteggi di Nu-metal si alternano a visioni acide, brani che
cercano di sfuggire a ogni categorizzazione, ma che sanno di essere
rock. Perlomeno come indole. E che fanno di questo Thisorientamento
un
debutto con il botto. Perché miscelare così perfettamente suoni
devastanti, testi psicologicamente violenti e un sano gusto per lo
spettacolo è di una difficoltà rara, ma il trio calabrese ne esce
alla grandissima.
E
quando alla fine si chiude il sipario, e la stessa voce che ci aveva
introdotto ci domanda “Che
volete, che volete ancora?”
uno strano senso di alienazione alberga in chi ha appena sentito il
disco. E in fin dei conti non è questo il vero motivo di essere per
la musica, come per il teatro? Non è creare emozioni forti a chi
ascolta, il vero motivo per suonare?
Recensione Flying Vaginas - Beware Of Long Delayed Youth
Per me i Flying Vaginas sono
come un ectoplasma. Ne avevo sentito parlare, me ne avevano esaltato
le doti, ma vuoi per pigrizia o più verosimilmente per mancanza di
tempo non avevo ascoltato il loro primo lavoro And
That's Why We Can't Have Nice Things. Ora
con l'arrivo del nuovo Beware Of Long Delayed
Youth
mi sono messo d'impegno e ho recuperato anche il loro primo lavoro. E
inizio a comprendere le lodi che mi erano arrivate all'orecchio.
Figli
dell'Alternative Rock di fine anni '80, figli dei Pixies, dei Jesus
And Mary Chains ed anche un po' dei Sonic Youth, i Flying
Vaginas
si allontanano di molto dallo standard delle band indie in giro in
questo periodo in Italia. Loro guardano più indietro e il risultato
è eccellente. Chitarre dilaniate, atmosfere rarefatte, il Lo-Fi come
unico credo. Ed un crescendo finale ( Blessed
Child, Patched Up, e
la titletrack Beware
Of Long Delayed Youth)
che si trasforma da un esplosione iniziale di suoni velenosi ad un
viaggio onirico e sognante nelle sfumature della mente.
Beware Of Long Delayed Youth
è un notevole passo avanti rispetto al primo lavoro. Molto più
maturo, sia nella scrittura che nella produzione, che regala una band
di quelle da evidenziare tra quelle che girano in questo periodo. I
Flying Vaginas non
inventano nulla, ma guardano al passato e ce lo riportano all'oggi,
ma il loro sguardo volge verso lidi che oggi sono poco battuti, ma
indubbiamente meritano di essere rivisti e riapprezzati.
Recensione Fucina28 - La pace dei sensi - il Nulla
Ci sono dischi che si ascoltano e
basta. Altri che stimolano anche altri sensi. Il secondo disco dei
Fucina28 è un disco che
stimola l'olfatto, come fosse un odore. O forse una puzza. Una puzza
di realtà, di fatica, di un mondo che è sempre più brutto. La
pace dei sensi- Il Nulla
puzza di verità.
I
Fucina28 ci
regalano un secondo lavoro intenso, che pesca a piene pani dal rock
indipendente italiano degli ultimi vent'anni, creandosi però una
propria identità. Chitarre serrate ( Terrore)
e richiami ai concittadini Zen Circus ( Riflessione
dei trent'anni, Nel paese di Pinocchio)
o agli Afterhours ( Te
stesso)
ma anche la capacità di rallentare e riflettere ( L'incostanza
Vol. II).
Sia
ben chiaro, non si tratta di un lavoro perfetto. Ma di certo è un
ulteriore passo avanti rispetto al primo lavoro, e progredire è
sempre un merito. C'è da lavorare ancora su alcuni passaggi, ma la
strada è quella giusta. La pace dei sensi – il
Nulla
è un disco che si potrebbe definire puro, che non vuole scendere a
compromessi, e come tale si tiene i suoi pregi e i suoi difetti
cosciente del fatto che sono frutto di una gran voglia di fare.
mercoledì 6 maggio 2015
Recensione Mataleòn - Jumping The Shark - 124C41+
L'Italia è famosa per tante cose. Tra
queste non c'è l'Hard Rock, specialmente cantato nella nostra
lingua. Quindi se una band si cimenta con questo genere nella nostra
lingua madre è un po' come camminare sulle uova. Il rischio di
rompere tutto è altissimo. Ma i lombardi Mataleòn si
destreggiano più che degnamente in questo campo. Il loro primo EP,
Prospettiva di un'idea, offre
sei brani che si rifanno alla gloriosa storia dell'Hard Rock. Ampi
assoli, voce che si innalza a picchi elevati, una ballata che ormai è
consuetudine nei dischi di questo tipo ( Il
foglio bianco).Debutto
decisamente buono per i Mataleòn,
che non si discostano molto dalla tradizione del genere, ma lo fanno
con la voglia di chi vuole emergere e questo non può che essere un
bene.
124C41+
L'oscurità ti avvolge e ti sovrasta.
Ti senti perduto e l'unica cosa che riesci a fare è gridare urla
strazianti che si perdono nel vuoto. Questa è la sensazione che
lascia addosso l'ascolto dell'EP degli 124C41+
(
che sta per One to
foresee for One another
preso da un romanzo di fantascienza scritto da Hugo Gernsback). Calma
totale che esplode improvvisamente in suoni violenti e dilaniati. I
quattro ragazzi ternani si rifanno a una certa attitudine post-rock
nordeuropea per realizzare questo cupo lavoro. Venti minuti divisi in
tre brani sono pochini per capire fino in fondo una band, ma le
premesse sono ottime. L'attesa per un lavoro sulla lunga distanza
sono certo che verrà ripagata dalla band.
Negli ultimi anni il duo sta tornando
prepotentemente in voga tra le band nostrane. I Jumping The Shark,
diciannove anni a testa e le idee già ben chiare in testa. Sei brani
per questo secondo EP Sogni Pesaresi,
e di sogni si tratta. Sogni distorti, che vanno da ballate elettriche
( Buonanotte, Le
lacrime del coccodrillo)
a indie psichedelico ( Leonardo
nel bidone)
fino a spingersi ai confini dello stoner ( Stress).
Come si presentano loro vanno da Battisti ai Melvins, ma si passa
anche per molto di quello che c'è in mezzo.
Altro
lavoro che ci fa ben sperare per un disco più lungo, perché le idee
e le qualità non mancano.
martedì 5 maggio 2015
Recensione Mumford and Sons - Wilder Mind
All'uscita del singolo Believe
erano stati in parecchi a storcere il naso. Più che ascoltare un
brano dei Mumford and Sons
sembrava di essere davanti a un nuovo singolo dei Coldplay. O di una
qualsiasi delle band britanniche che seguono quel filone.
Wilder Mind
è senza ombra di dubbio uno dei lavori più attesi di questo 2015,
con una band ormai lanciata verso il successo mondiale e che
attendeva solo la definitiva consacrazione, che probabilmente verrà
raggiunta da questo disco, ma sarà solo una consacrazione
commerciale e non artistica. Perché Wilder Mind
suona
a tutti gli effetti come un disco perfetto per i passaggi radio, per
allargarsi a una fetta di pubblico sempre più ampia, ma perde
l'anima che contraddistingueva la band inglese.
L'ingresso
della batteria nel suono dei Mumford
and Sons poteva
effettivamente far fare il salto di qualità a quel suond che
rifacendosi al passato aveva stimolato una generazione di musicisti
un po' statici sulle loro convinzioni. Qualche accenno ai primi due
lavori lo si trova ( Just
Smoke)
ma è un qualche frammento in un lavoro che va del tutto in un'altra
direzione.
Scelta
abbastanza incomprensibile per la band guidata da Marcus
Mumford quella
di cambiare totalmente le carte in tavola. Wilder
Mind
è non nel senso più assoluto un brutto disco, ma suona come altri
mille in circolazione. A questo punto non resta che sperare in un
ritorno al passato già dal prossimo lavoro, in modo da poter
ricordare questo come un esperimento non riuscitissimo.
martedì 28 aprile 2015
Recensione Management Del Dolore Post-Operatorio - I Love You
Due dischi nell'arco di dodici mesi per una band sono una sorta rarità di questi tempi. Ma il Management
del Dolore Post-Operatorio ci
ha insegnato che le convenzioni non fanno per loro, quindi eccoli
arrivare con il loro terzo lavoro, I Love You
che arriva appunto un anno dopo il fortunato McMao.
Il senso di questa
nuova uscita è da cercare nell'ultima traccia di questo nuovo
lavoro, Lasciateci Divertire, che
in fondo è lo spirito della band abruzzese. È il divertimento, loro
e del pubblico, che trascina la musica di questi artisti. E in questo
nuovo lavoro lo fanno alquanto bene, tornando sulla strada maestra
segnata da Auff!! lasciando
da parte gli esperimenti elettronici che accompagnavano il precedente
lavoro. Guidati magistralmente da Giulio Ragno Favero ( Teatro degli
Orrori) alla produzione, Il
Management del Dolore Post-Operatorio
riprende le chitarre e le rende nuovamente protagoniste del loro
disco. E se si parte con una canzone “d'amore” a modo loro ( Se ti sfigurassero con l'acido), già
dal secondo brano Scimmie (
anche primo singolo estratto dal disco) la via da percorrere è ben chiara, con
l'indie pop che gli ha dato notorietà a farla da padrone. I soliti
testi pervasi d'ironia che ormai sono un tratto distintivo della
band, che continuano a raccontare di quelle brutture delle nostre
vite.
I Love You risulta
un disco di facile ascolto, ma con una profondità comunque
importante. Un disco che segue la propria strada andando a calcare la
mano sui punti di forza della band. Un album che si fa risentire
molto volentieri.
Recensione Blur - The Magic Whip
Immaginate una band che si ritrova per
un reunion dopo anni di separazione. Immaginateli che per annoiare
l'attesa di cinque giorni liberi ad Hong Kong decidono di ammazzare
il tempo in studio di registrazione a suonare. Immaginate che dopo un
anno il chitarrista Graham Coxon
rimette mano a quel materiale e provi a tirarne fuori un album.
Immaginate i quattro componenti della band che, a sorpresa, un paio
di mesi fa annunciano l'uscita di un nuovo disco di inediti. Aprite
gli occhi e vi troverete davanti The Magic Whip,
primo disco in studio dei Blur
da
dodici anni a questa parte.
E
di acqua sotto i ponti nel frattempo ne è passata tanta. Damon
Alban diviso
tra Gorillaz e disco solista, Coxon
con le sue prove molto più vicine ai suoni classici della band. Ed è
proprio la contrapposizione tra i due, quella che aveva portato allo
scioglimento del gruppo, quella che da vita a questo nuovo album. Si
cerca di far convivere le diverse anime che vivono all'interno di
questi artisti, dopo oltre una decade di altre esperienze.
E
il risultato è un mix di queste anime, in cui Coxon
in
fase di produzione è andato a limare la personalità enorme di Alban
per
creare un qualcosa che si avvicini il più possibile a un lavoro di
gruppo, che a un altra prova di grandezza del frontman. E se mettendo
il disco nel lettore sembra di essere catapultati ai tempi di
Parklife
con Lonesome
Street, già
dal secondo pezzo ( New
World Towers)
i suoni di Everyday Robots si
fanno presenti e importanti. Suoni che ricompaiono in My
Terracotta Heart ballata
minimale sul rapporto tra le due anime della band. Ma l'equilibrio lo
si raggiunge tra i vari brani, andando ad alternare pezzi
dichiaratamente pop ( Ong
Ong, Go Out),
pezzi che costeggiano il funk ( Ghost
Ship)
e brani più ad orientamento rock ( I
Broadcast).
Dobbiamo gridare al capolavoro? No.
Abbiamo davanti un bel disco? Si. I Blur
riescono a regalare un album che è qualcosa in più rispetto a una
semplice raccolta di brani fatti in questi anni. Ha la forma di un
disco, che non raggiunge l'apice dei grandi lavori della band, ma che
alla fine dell'ascolto ti fa venir voglia di ricominciare ad
ascoltarlo.
venerdì 24 aprile 2015
Recensione Great Lake Swimmers - A Forest Of Arms
Territori sconfinati, natura selvaggia,
specchi d'acqua che sembrano infiniti. Questo è il ricordo che ho di
quei due giorni passati in Canada. E la colonna sonora ideale di quei
giorni sarebbe stata di certo la musica dei Great Lake Swimmers,
se solo all'epoca fossero
esistiti. Ora arriva il loro sesto album in studio, A
Forest of Arms
successore di New Wild Everywhere del
2012.
Sono
parecchie le band che cercano di rispecchiare la tradizione della
propria terra, ma poche riescono a fornire le sensazioni che una
terra riesce a darti. Tony
Dekker e
compagni riescono a donare con i loro suoni tutte le emozioni e le
inquietudini che quei che quella terra riesce ad offrire. I suoni
sono quelli di sempre, non variano molto dallo spartito composto con
i precedenti lavori, ma il tutto viene fatto con un eleganza che non
può non lasciare affascinati.
Sonorità
folk ( Something
Like a Storm, A Bird Flew Inside The House),
momenti più riflessivi ( Don't
Leave Me Hanging, I Was a Wayward Pastel Bay, Expecting You),
archi che fanno capolino qua e là ( One
More Charge At The Red Cape)
il tutto pervaso da un fondo di malinconia tipica di chi in quelle
lande infinite ci è nato e cresciuto. The
Great Bear
è una piccola perla all'interno di un disco comunque di buonissimo
livello.
Lasciare
la strada vecchia può essere un rischio. Rischio che non decidono di
correre i Great
Lake Swimmers
e probabilmente fanno bene. Difficilmente si trovano band che
arrivate al sesto disco non ne hanno sbagliato neanche uno, e
riescono a non sbagliare neanche con questo A
Forest of Arms.
Forse non una pietra miliare nella storia della musica, ma un lavoro
che mantiene in alto l'asticella di questa band.
giovedì 23 aprile 2015
Recensione Post-CSI - Breviario Partigiano
Il vero significato del 25 Aprile si
sta lentamente perdendo con il passare degli anni. Vuoi per la
graduale scomparsa di chi a fatto si che quella giornata fosse
possibile, vuoi per una sorta di revisionismo storico in atto nel
nostro paese, la data del 25 Aprile 1945 non ha più quel valore che
ricopriva per le generazioni che ci hanno preceduto. E come spesso
accade è compito degli artisti fare in modo che questa memoria non
vada persa. Lo si è fatto nel 1995 grazie al comune di Correggio che
mise insieme diversi artisti, tra cui i CSI,
Marlene Kuntz, Africa Unite, nella raccolta Materiale
Resistente per i
cinquant'anni dalla Liberazione. Lo hanno fatto dieci anni fa i
Modena City Ramblers con Appunti Partigiani, in cui rileggevano canti
popolari insieme a diversi ospiti. Nel suo piccolo lo ha fatto
Francesco Guccini nel suo ultimo disco L'ultima Thule con i brani
Quel giorno d'Aprile
e Su in collina.
E ora per il settantennale lo fanno i Post-CSI con
questo Breviario Partigiano, nato
da un'idea di Massimo
Zamboni
che porta in dote racconti raccolti in questi anni sulla sua storia
familiare, legata a doppio filo a quella della resistenza.
E questo progetto porta a un disco, un
film e un libro realizzati grazie ai fans, che nel Crowdfounding
organizzato per il progetto hanno raccolto il necessario nell'arco di
ventiquattro ore e con il resto hanno potuto pure procedere alla
distribuzione nei negozi del progetto, non riservandolo solamente ai
finanziatori.
Il disco che fa da colonna sonora al
film Il Nemico – Un Breviario Partigiano rimette
insieme Massimo Zamboni,
Giorgio Canali, Gianni Maroccolo e
Francesco Magnelli,
già
insieme nei CCCP
prima
e nei CSI dopo,
e vede l'aggiunta della voce di Angela
Baraldi,
e come da reunion ormai datata 2013 si nota la mancanza di Giovanni
Lindo Ferretti.
Breviario Partigiano
non punta a mettere in risalto le qualità musicali dei singoli,
ormai già note a tutti, ma si concentra sulle storie, sulle
sensazioni, su quello che a tratti sembra essere un grido disperato
di chi non vuole essere dimenticato. E rispetto ai già citati omaggi
degli ultimi due decenni ha la forza di sembrare davvero un disco, e
non solo un collage di pezzi che fanno parte della nostra cultura
popolare. Tra brani inediti ( Il
nemico, Senza domande e
Breviario
Partigiano)
ripescaggi dalla discografia dei CSI
ed esecuzioni live prese dal tour del 2013, i Post-CSI
riescono
a dare un senso a questo materiale dal forte impatto culturale. E la
sublimazione è nella chiusura di 29
Febbraio
in cui è lo stesso Zamboni
a
narrare la storia del proprio nonno materno, fascista ucciso dai
partigiani.
Progetti
di questo tipo sono sempre borderline. Si rischia facilmente di
trasformare il tutto in un operazione nostalgia, sia per i temi
trattati che per la storia dei componenti riuniti per l'occasione. Ma
quando i nomi in ballo sono tra quelli che hanno segnato
indelebilmente la storia della musica italiana tutti i dubbi vengono
dissipati da un lavoro omogeneo e vero. Un lavoro potrebbe essere un
episodio a se stante, ma che potrebbe pure far venir voglia a questi
meravigliosi artisti di tornare a fare qualcosa insieme, che non
siano tour di ricordo dei tempi andati.
martedì 21 aprile 2015
Recensione Lydia Lunch Retrovirus - Urge To Kill
“I
would be humiliated if I found out that anything I did actually
became a commercial success.”
E lo spirito è rimasto lo stesso. Il successo commerciale sarebbe umiliante e quindi Lydia Lunch con i Retrovirus va a ripescare da quel suo repertorio che di tutto cercava tranne il successo. E lo fa rivivere con lo stesso spirito con cui era stato concepito in origine, una potente tempesta di suoni distorti, accompagnati da un canto disperato, quasi un lamento.
Lydia Lunch va a prendere a piene mani dai suoi lavori ormai storici ( 13.13, Honeymoon In Red, In Limbo, Queen Of Siam) e ci regala anche la cover di un brano degli amici Suicide ( Frankie Teardrop). E se la partenza di Snakepit Breakdown volge lo sguardo al periodo più noise della sua produzione, e nella mezzo del disco che troviamo un tris di brani che incendiano l'album. Still Burning col suo incedere lento fino all'esplosione di distorsioni, la già citata Frankie Teardrop decisamente più acida della versione originale e Fields Of Fire che si rifà a sonorità molto più vicine all'Alternative Rock venuto dopo il suo periodo di massimo splendore.
Urge To Kill fa rivivere in maniera diversa alcuni pezzi della gloriosa carriera di Lydia Lunch. Ma non gli fa perdere lo spirito originale, perché se è vero che con il tempo si matura e si cambia, la cantante americana non sembra esserne molto d'accordo:
“I'm nihilistic, antagonistic, violent, horrible - but not obliterated, yet. I just refuse to be beaten down. I think it's stubborness that keeps me going.”
Il disco è disponibile nelle versioni: CD, vinile colorato in tiratura limitata a 299 copie, esclusivo box limitato a 99 copie con vinile colorato, DVD e gadgets
E lo spirito è rimasto lo stesso. Il successo commerciale sarebbe umiliante e quindi Lydia Lunch con i Retrovirus va a ripescare da quel suo repertorio che di tutto cercava tranne il successo. E lo fa rivivere con lo stesso spirito con cui era stato concepito in origine, una potente tempesta di suoni distorti, accompagnati da un canto disperato, quasi un lamento.
Lydia Lunch va a prendere a piene mani dai suoi lavori ormai storici ( 13.13, Honeymoon In Red, In Limbo, Queen Of Siam) e ci regala anche la cover di un brano degli amici Suicide ( Frankie Teardrop). E se la partenza di Snakepit Breakdown volge lo sguardo al periodo più noise della sua produzione, e nella mezzo del disco che troviamo un tris di brani che incendiano l'album. Still Burning col suo incedere lento fino all'esplosione di distorsioni, la già citata Frankie Teardrop decisamente più acida della versione originale e Fields Of Fire che si rifà a sonorità molto più vicine all'Alternative Rock venuto dopo il suo periodo di massimo splendore.
Urge To Kill fa rivivere in maniera diversa alcuni pezzi della gloriosa carriera di Lydia Lunch. Ma non gli fa perdere lo spirito originale, perché se è vero che con il tempo si matura e si cambia, la cantante americana non sembra esserne molto d'accordo:
“I'm nihilistic, antagonistic, violent, horrible - but not obliterated, yet. I just refuse to be beaten down. I think it's stubborness that keeps me going.”
Il disco è disponibile nelle versioni: CD, vinile colorato in tiratura limitata a 299 copie, esclusivo box limitato a 99 copie con vinile colorato, DVD e gadgets
Distribuzione: Audioglobe (Italy, ROW), Broken Silence (Germania, Europa), MDV
(Stati Uniti, Canada)
Label: Rustblade Contatti Label: info@rustblade.com web: www.rustblade.com
(Stati Uniti, Canada)
Label: Rustblade Contatti Label: info@rustblade.com web: www.rustblade.com
lunedì 20 aprile 2015
Recensione La Sindrome della Morte Improvvisa - Derice - (Re)Offender
Secondo EP per i
quattro musicisti brianzoli. Abbandonato il Noise del primo lavoro,
con questo Di blatta in blatta
i toni si fanno molto più pesanti e vicini allo Stoner, con qualche
sfumatura verso il Metal. Quattro brani per circa venticinque minuti
di musica, in cui Kosakof spicca
dal resto per varietà e impatto, mentre la chiusura Sfiati
nel cranio sembra quasi essere
un grido disperato nel suo incedere pesante.
Buon
lavoro per La Sindrome della morte improvvisa, che
rischia cantando in italiano in un genere che non è ben avvezzo alla
nostra lingua. Ora li attendiamo sulla lunga distanza.
Secondo
EP per i (Re)Offender.
Suoni onirici con un ampio respiro internazionale, linee vocali che
si mescolano con chitarre e synth, suoni eleganti per un non banale
pop. Forse a tratti un po' ridondante nelle scelte musicali, ma di
sicuro di elevata qualità. E il singolo Meeting of Feeling
è una piccola perla che fa il sunto di quanto detto finora.
(Re)Offender
può essere un buon viatico
per aprire parecchie porte, sia in Italia che all'estero. Suoni che
da noi non sono così riconoscibili, potrebbero essere la fortuna di
questa band.
DERICE
– ABLE TO FLY
Sonorità
britanniche, ricordi di Damien Rice ( Elle)
o dei Kodaline ( Right Shoes, Tainted Love)
o comunque di sonorità eleganti sentite negli ultimi anni. Un
arrangiamento al limite della perfezione e una produzione ottima
rendono questo primo EP dei Derice
un'ottima base di
partenza per un futuro radioso. Un pop raffinato che tende a evadere
la banalizzazione, con scelte musicali abbastanza diverse tra i
quattro brani.
Able To Fly
sembra essere il classico lavoro che raccoglierà più consensi
all'estero che in Italia, viste le sonorità così distanti da quello
che ci offre il pop italiano su grossa scala.
domenica 5 aprile 2015
Claudio Simonetti Demons 30th years anniversary
Il cinema horror è probabilmente il
genere in cui c'è bisogno di legare alle immagini la musica giusta.
Riuscire a restituire la giusta tensione del genere con la musica è
un'impresa alquanto complessa. E la storia ci dice che i migliori in
questa speciale categoria sono stati di certo i Goblin. La
band italiana ha aiutato Dario Argento a fare la propria fortuna,
così come il regista romano a aiutato la band a diventare famosa in
tutto il mondo.
Nel
1985 il leader della band, Claudio Simonetti
musicò la colonna sonora di Demoni,
forse il capolavoro di Lamberto Bava, che vede nuova luce ora a
trent'anni dall'uscita. E se per lunghissimi tratti della sua
carriera Simonetti
aveva
dato libero sfogo della magia del Prog, in Demoni
erano gli anni '80 ad aver preso il sopravvento, ed ecco arrivare
l'elettronica a farla da padrone, con il Prog un po' in declino. E
Simonetti
nella sua sapienza musicale ha saputo adattarsi alla perfezione,
riuscendo a creare trame intense e paurose anche cambiando totalmente
stile. E la musica riesce a dare, se possibile, ancor più ritmo alle
immagini sullo schermo.
Creare
una colonna sonora perfetta è sempre complicato, ma Claudio
Simonetti
è sempre stato maestro in questo. E quella di Demoni
va di diritto tra le migliori, perché ha saputo dare una sferzata
diversa rispetto a quello che lo aveva portato al successo mondiale.
venerdì 3 aprile 2015
Caparezza @Palalottomatica Roma 02/04/2015
“Qualcuno dovrà patire le pene
dell'inferno per l'acustica del Palalottomatica”. È il mio primo
pensiero ogni volta che esco dal palazzo dello sport di Roma dopo un
concerto. E dopo il concerto di Caparezza di ieri sera il
pensiero è stato lo stesso. Un'acustica indegna, soprattutto per uno
show come quello che ha tirato fuori il “rapper” di Molfetta.
La definizione di Rapper è ormai un
diminutivo per Caparezza, vista che anche la sua musica da
tempo ha preso una strada diversa. Ed anche il suo show si è
trasformato in uno spettacolo totale, capace di unire arte e musica,
momenti divertenti e momenti più seri. Show che non perde neanche
ritmo neanche durante i numerosi cambi di scenografia, ottimamente
riempiti da video surreali sull'arte ( su tutti quello che vede
protagonista Pierpaolo Capovilla) e dall'interazione tra Capa
e il suo pubblico, che pende letteralmente dalle labbra dell'artista
pugliese.
Spettacolo che ovviamente pone in
risalto i brani tratti dall'ultimo Museica,
ma che non disdegna un ripescaggio di brani dai precedenti lavori,
soprattutto dai due album precedenti ( Le
dimensioni del mio caos e
Il sogno eretico)
con ovviamente i grandi successi a riscuotere i più grandi boati,
anche se la partecipazione del pubblico non è mai venuta meno. E se
su Vieni a ballare
in Puglia
o Sono fuori dal
tunnel
la reazione del pubblico era abbastanza scontata, ecco che su nuovi
pezzi la folla si esalta allo stesso modo, concedendo una lunga
standing ovation per China
Town, il
pezzo più intimo scritto finora da Caparezza,
e che il pubblico romano sempre aver capito appieno.
Ma
il vero mattatore della serata è lui, in grado di gestire il proprio
pubblico a piacimento e a farlo pendere dalle proprie labbra. E lui
non si risparmia per il suo pubblico. Quasi due ore e mezza in cui
Caparezza è
una scheggia impazzita sul palco, pronto a cambiare abito per ogni
canzone e a cercar di far aprire gli occhi sul vero significato di
alcuni suoi brani.
Uno
show che ha le carte in regola per essere ricordato per molto tempo,
purtroppo non viene accompagnato da una location all'altezza. Ma
questo non è un difetto imputabile a Caparezza
che anzi, si dimostra uno showman degno di palcoscenici sempre più
ampi.