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lunedì 26 giugno 2017

Eddie Vedder @ Parco delle Cascine, Firenze. Live Report




Salve Sig. Vedder,

Posso chiamarla Eddie? Dopo una rincorsa durata tanti, troppi, anni finalmente sono riuscito a incontrarla qualche giorno fa. Riuscire a vedere un concerto dei Pearl Jam ancora non mi è riuscito ma sono riuscito intanto a incontrare lei.

Sono solamente uno dei quaranta-cinquanta mila presenti al Parco delle Cascine sabato sera a vedere il suo show e volevo dirle qualcosa riguardo quelle due ore che è stato sul palcoscenico.

Di concerti nella mia vita ne ho visti tanti, forse troppi. Grandi, piccoli, stadi, palazzetti, locali dimenticati da Dio, piazze e chi più ne ha più ne metta. Ma sabato sera è stata una delle poche volte in cui non ho visto un concerto ma un uomo che raccontava la sua storia. Una storia fatta di momenti belli e brutti, cadute e risalite. Una storia in cui l'artista non dimentica gli amici e la moglie e si dona nudo al proprio pubblico. Più che un concerto ho visto un padre raccontare la sua vita ai propri figli ( piuttosto numerosi in questo caso) e ho visto questi figli ridere, piangere, ballare e gioire insieme al proprio genitore.

E forse è il secondo spettacolo nella mia vita in cui era così emotivamente coinvolto. Nonostante quella storia la conoscessi alla perfezione non ho potuto non commuovermi in alcuni passaggi, non ho potuto non ridere in altri. Quando lei ci ha raccontato di aver conosciuto sua moglie in Italia, noi ne siamo stati felici perché sapevamo che quel racconto non era un atto di piaggeria nei nostri confronti, ma solo una parte di quella storia. E quando a inizio show ci ha fatto notare che quello fosse il suo concerto solista con più gente, si vedeva come la sua emozione fosse reale.

Non c'era la scenografia delle grandi occasioni, non ha puntato alla forma ma alla sostanza. Anche quando il troppo vino in corpo le faceva lasciare le frasi a metà o le faceva mandare a fare in culo la chitarra perché aveva sbagliato due accordi. E quando ha voluto ricordare l'amico da poco andato via non lo ha fatto in maniera spettacolare. Due frasi, una Black mai così bella, e quelle due parole finali che non uscivano, quel “Come Back” strozzato in gola è valso più di mille discorsi. E guardandomi intorno mi sono reso conto che non ero l'unico con le lacrime agli occhi in quel preciso istante.

E sembra aver gradito anche qualcun altro (non chiedetemi chi sia) che proprio alla fine di quella che lei ha definito la più bella canzone mai scritta ( Imagine di John Lennon) ci ha mandato una stella cadente a sovrastare il palco, molto probabilmente era il suo di applauso.

Caro Eddie le ho scritto fin troppo, di certo a sproposito, ma non ero mai stato così emotivamente toccato da un concerto. E quando le emozioni sono troppe si rischia sempre di esagerare. Non penso mi ricapiterà di trovarmi insieme a cinquantamila persone che provavano tutte le stesse cose nello stesso momento, per questo volevo dirle solamente un'ultima cosa:

Grazie



venerdì 20 gennaio 2017

Recensione A casa tutto bene - Brunori Sas

Se il Cammino di Santiago in taxi era il disco della crescita per Brunori Sas, questo A casa tutto bene è, com'è che si dice? Ah si, il disco della maturità. Che fa quasi ridere dirlo per un artista quasi quarantenne con una carriera quasi decennale alla spalle.
Il quarto lavoro del cantautore calabrese va valutato in due parti, la musica e i testi. Se da un punto di vista musicale questo è di certo il suo disco più difficile, il meno semplice, dal lato dei testi siamo di fronte alle parole più dirette possibili. Perché “Se canti il popolo, sarai anche un cantautore, sarai anche un cantastorie ma ogni volta ai tuoi concerti non c'è neanche un muratore.”

Sono passati i tempi della prima parte della carriera. Ora probabilmente Rosa ti lascia nel viaggio Lamezia Milano e i ragazzi di Guardia '82 sono cresciuti e vivono il loro amore come l'ossessione di Colpo di pistola. La disillusione prende il sopravvento sull'ottimismo, in un paese dominato da chi considera L'uomo nero il più grande dei problemi. E allora ci si rifugia in quello che si conosce, nel proprio porto sicuro. Ecco perché alla fine si finisce a cantare per combattere le proprie paure, senza prendersi troppo sul serio perché fai "Canzoni che parlano d'amore, perché alla fine dai di che altro vuoi parlare? Che se ti guardi intorno non c'è niente da cantare, solamente un grande vuoto che a guardarlo ti fa male."

Questo quarto lavoro di Brunori Sas è anche il più difficile da valutare, perché non arriva subito come arrivavano i precedenti. Possibile che tra qualche tempo staremo qui a parlare di come sia il miglior lavoro della sua produzione, e di questo ne sono quasi sicuro. Purtroppo ognuno cresce a proprio modo ed è il caso di dirlo, Dario Brunori è diventato maturo.

sabato 14 gennaio 2017

Gli Inguardabili - Recensione The Day After Tomorrow

Il problema delle mutazioni climatiche è un tema che dovrebbe stare a cuore a tutti. Di certo è nel cuore di Roland Emmerich regista di The Day After Tomorrow. Ma ben più a cuore a Emmerich sta la distruzione del nostro pianeta, visto che in ogni suo film prova a farlo finire, ogni volta in maniera diversa. Independence Day, Godzilla, 2012, Independence Day: Resurgence. Tra alieni, Kaiju e catastrofi naturali il buon Roland prova ogni volta a portare a termine il nostro pianeta. Se aggiungiamo a questi anche Il Patriota, 10000AC e White House Down capiamo che Emmerich porterà tanto di quel materiale a questa rubrica come nessun altro in questo mondo.
Siamo nel 2004, il protocollo di Kyoto è stato già sottoscritto da sette anni ma a nessuno sembra importare, visto che l'unico studioso al mondo ad interessarsi (e ad accorgersi) di una catastrofe imminente è Dennis “Mascellone” Quaid. Che già dalla prima scena fornisce prova delle sue grandi doti scientifiche battendo il record del mondo di salto in lungo mentre l'Artico si divide a metà. Si, l'Artico si divide a metà, così senza preavvisi. Ah e Dennis Quaid e i suoi colleghi lo stavano monitorando. Un lavoro veramente ben fatto.
Ma Dennis “Mascellone” nostro prova a mettere in guardia i potenti del mondo, dicendo come una possibile nuova glaciazione si possa verificare tra cento o mille anni. Peccato che la situazioni precipiti nell'arco di settantadue ore...Uno scienziato di cui fidarsi, non c'è più alcun dubbio.
Da grande scienziato qual è però, durante la devastazione mondiale che lui aveva predetto, abbandona tutto per andare a salvare il figlio a New York. A piedi. Durante la glaciazione. Facendo circa cento miglia a piedi in due giorni. Ok.

"Lei è uno scienziato"
"Chi?Io?"
Il film vorrebbe portare un messaggio politico (totalmente giusto) solo che per farlo si rivolge a una serie di cliché che ormai non fanno neanche più ridere. Ci troviamo quindi davanti a un fenomeno devastante ma di cui prima era a conoscenza una sola persona al mondo, a politici totalmente idioti, poliziotti incapaci che portano a morire centinaia di persone, nazioni cattive ed ad altre che possono anche congelare, tanto sti cazzi, siamo gli USA e se la Russia sparisce, meglio.
Perché si, perché quando l'unica speranza di salvezza per milioni di persone è andare in Messico, loro, i messicani cattivi, chiudono le frontiere per poi riaprirle a fronte della cancellazione del debito di tutta l'America Latina. Cattivi e avidi.
Ma in fondo chissene frega della devastazione globale quando c'è da salvare il figliolo rincoglionito di Dennis Quaid? Un Jake Gyllenhaal che non capisce neanche lui come è finito su quel set.
E visto che ci siamo assegnamo il premio all'attore che non c'entra nulla col resto. Per The Day After Tomorrow il vincitore è....Ian Holm. Perché Shakespeare per cinquant'anni è bello ma i dollari dei disaster movie a un certo punto servono.

Ma in fin dei conti il termine ultimo di Emmerich era distruggere la Terra anche in questo film, e in buona parte ci riesce. Riesce a mettere cicloni, ghiaccio, onde anomale, tornado a Los Angeles cattivi come la peste che si uniscono tra loro per fare ancora più danni, lupi scappati dallo zoo che provano a mangiare persone a -100° C. Ma soprattutto fa ripetere centinaia di volte ai suoi personaggi che a quelle temperature chiunque sarebbe ibernato all'istante, tranne però Dennis Quaid e figlio che possono uscire all'aperto anche a volto scoperto e stare fuori minuti interi senza problemi, neanche uno starnuto. E poi combustibile degli elicotteri che ghiaccia in tempo zero ma Mascellone può accendere il gas in cucina e tenerlo acceso per ore perché quello non gela. Stato di allerta mondiale e le immagini satellitare vengono viste dopo ore dagli avvenimenti. Una serie di scene totalmente senza senso.
E ancora, New York nell'occhio del ciclone, temperature che si abbasano di 10° al secondo, tutto che si congela all'istante ma il fuocherello fatto coi libri in biblioteca blocca l'Era Glaciale. A saperlo prima bastava una brace per salvare tutti. Se non fosse un film “serio” potrebbe essere tranquillamente la parodia di tutti i disaster movie già visti.

Facciamo due braciole?
La cosa che però mi ha inquietato di più è stato il fatto che la nuova Era Glaciale inizia e finisce nell'arco di cinque giorni. Si, cinque giorni. Informandomi un poco ho scoperto che una qualsiasi Era Glaciale dura centinaia/migliaia di anni. In The Day After Tomorrow dopo cinque giorni torna il sole e loro escono tranquillamente, con il sorrisone di Dennis Quaid a rassicurare tutti. Perché in fondo dai, pensate che se uno così può esser preso per il ruolo di uno scienziato, la glaciazione non è poi così una brutta cosa.

giovedì 12 gennaio 2017

Recensione No Plan EP - David Bowie

Il processo di elaborazione del lutto è stato trattato per anni dai più grandi luminari di psichiatria e psicologia. Ovviamente io sono l'ultima persona al mondo a poterne parlare in modo scientifico ma nell'ultimo anno mi sono trovato a passare attraverso tutte e cinque le “fasi” che compongono il processo. E ancora le sto attraversando dopo 368 giorni.
  1. Negazione - Definizione: Shock e stordimento per la morte, ricerca nel proprio ambiente di rumori o presenze del proprio caro.
David Bowie non era un mio caro. O forse mi era più caro di quanto non lo siano diverse persone a me vicine. Una fredda mattina di gennaio 2016, mentre ero in macchina per andare al lavoro, la voce di uno speaker radiofonico mi annuncia la morte di David Bowie. Accosto. Apro Twitter in cerca di conferme. Leggo i primi tweet che ne parlano. No. Non può essere vero. Purtroppo il lavoro chiama ma passo la mattinata a cercare informazioni. Dopo un paio d'ore capisco che non si tratta della solita bufala messa in giro ad arte.
David Bowie è stato l'artista che più ha influito sulla mia formazione musicale, semplicemente non può essere morto. (Periodo della durata tra i 2 e i 3 giorni)
  1. Patteggiamento – Definizione: Speranza nel ritorno del proprio caro, fare promesse affinché questo possa accadere
Dai, non può essere morto. Come Jim Morrison e Elvis. Vedrai che si è finto morto per vivere una vita normale. Tra qualche tempo si scoprirà che era una trovata pubblicitaria e tornerà con un disco della madonna. È come quando fece morire Ziggy Stardust e tornò come Duca Bianco. Vedrai che si inventa qualcosa di simile e ci lascerà tutti di nuovo a bocca aperta. (Periodo di circa un mese)
  1. Rabbia – Definizione: Frustrazione, rabbia verso il destino, il mondo, gli altri
Perché Bowie? Perché? Tra tanti cani nel mondo della musica, perché proprio Bowie? Proprio ora che aveva tirato fuori un altro capolavoro. Perché non Justin Bieber? O gli One Direction? Poi ci domandiamo dov'è Dio. Perché lui? Perché? (Periodo durato tra i 3 e i 6 mesi)
  1. Depressione – Definizione: Profonda tristezza e dolore per la realtà e l'irrimediabilità della morte
Basta. La musica è finita. Altro che il rock è morto, ora è morta proprio la musica. Io poi non ce la faccio ad ascoltarlo.
Ogni volta che inserivo un disco di Bowie nel lettore ero costretto a toglierlo dopo il primo brano. Si instaurava in me un senso di rifiuto nell'ascoltare il mio artista preferito. (Periodo di 3-4 mesi)
  1. Accettazione – Definizione: Riorganizzazione e ritorno alla vita conservando i ricordi, senza che questo determini un dolore insopportabile
Ho dato una possibilità a questo EP, No Plan. Sono riuscito ad ascoltarlo e sono arrivato fino in fondo. Tre volte di fila. Sono solo quattro brani ma è un primo segno che vado migliorando. Forse domani provo ad ascoltare Aladdin Sane o Diamond Dogs, vediamo che effetto fa.

Come dite? Non ho recensito l'EP? Eh vabbè, sarà per la prossima volta. È ancora troppo presto.