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giovedì 18 dicembre 2014

Recensione Cosmetic - Nomoretato

Si entra in studio con dei brani già pronti, si inizia a registrare e si decide di farlo in analogico e cogliendo appieno quello che succede in sala prove, senza dover mettere poi troppo le mani sul materiale in un secondo momento. L'approccio dei Cosmetic con questo nuovo Nomoretato è alquanto particolare trovandoci nel 2014.
E infatti ascoltando questo quarto lavoro della band emiliana sembra di ritrovarsi proiettati indietro nel tempo di qualche decennio, dove la pulizia sonora non è tra le priorità della band, ma si cerca di ricreare l'atmosfera che permeava l'ambiente durante la nascita di questo lavoro.
Atmosfere sospese tra la voglia di aprirsi totalmente a sonorità pop, e l'anima psichedelica che più volte prova a uscire facendo bella mostra di sé ( Continuum, Nomoretato). E le due anime del disco si mescolano completamente e si amalgamano alla perfezione, creando un complesso sonoro di ottimo livello.
Un disco che guarda al passato, sia tecnicamente sia musicalmente, ma che offre ottimi spunti pure per il futuro. I Cosmetic regalano un disco ispirato e hanno saputo cogliere appieno quest'ispirazione che accompagnava la band.  

giovedì 11 dicembre 2014

Premio Blog 2014

Spadari Consulting quest'anno ha deciso di premiare i Blog indipendenti più meritevoli. Per quel che riguarda la categoria musica hanno deciso di assegnare il premio a noi di Rock Of Ages...
Una cosa inaspettata e inattesa e per questo ancor più gradita e soddisfacente.
Ovviamente i ringraziamenti sono d'obbligo per un qualcosa che non avremmo mai immaginato. 


Per informazioni su questa e altre iniziative potete visitare www.spadariconsulting.com .

mercoledì 10 dicembre 2014

Recensione The Smashing Pumpkins - Monuments to an Elegy

Billy Corgan è vivo e attivo come non mai. Un disco nel 2012 ( Oceania) uno in programma per il prossimo anno ( Day For Night), ecco ora arrivare questo nuovo Monuments to an Elegy.
La prima cosa che balza all'occhio ancor prima di ascoltare l'album è la lunghezza. Soli nove brani di una durata media di neanche quattro minuti, cosa assai strana per i lavori degli Smashing Pumpkins che ci hanno abituato a album dilatati anche esageratamente. Invece in questo caso abbiamo un disco breve e diretto, senza troppe macchinazioni sonore, cosa alquanto strana per la band di Corgan. E anche ascoltandolo ci si rende conto che oltre alla brevità anche i suoni sono decisamente orientati verso un pop più aperto a un pubblico più vasto rispetto al solito. Tastiere e Synth a farla da padroni, solite chitarre potenti ma che non hanno la libertà solita ( niente assoli).
Tiberius è l'anello di congiunzione con il precedente lavoro Oceania, ma poi il disco prende tutt'altra piega, con il consueto uso di chitarre, ma fossilizzandosi troppo sulle tastiere che danno a Monuments to an Elegy un suono quasi datato, molto power-pop anni 80. Non che manchino le intuizioni buone, anche perché Corgan resta sempre Corgan, ma rispetto ai lavori maggiori della band non si riesce a sfruttarli in maniera adeguata. Anaise! Con il suono andare funk porta una ventata di novità che però si perde nel andamento abbastanza statico del disco.


Billy Corgan ha avuto il merito di prendere una generazione che era stata aizzata da Cobain, e l'ha portata verso un'età, e una musica, più adulta. Ma forse ora non riesce più a indirizzare gli spunti nel modo giusto, e ci si limita a vivacchiare in un livello, comunque più che discreto, ma che impallidisce al confronto del passato della band. 

sabato 6 dicembre 2014

Recensioni - My Speaking Shoes - Cronofobia - Kynesis

MY SPEAKING SHOES – SIAMO MAI STATI

Secondo album per la band emiliana, che decide per questo nuovo lavoro di cimentarsi con l'italiano nei testi. Scelta alquanto rischiosa visto il sound della band di Sassuolo, che si destreggia nel noise e lo fa in modo decisamente riuscito. Il disco è un aggressione all'ascoltatore che difficilmente riesce a sfuggirne. Una nota di merito per la voce di Camilla Andreani che si dimostra all'altezza anche in situazioni complicate.
Un ottimo secondo lavoro per i My Speaking Shoes, che riescono a dar seguito alle buone impressioni destate dal primo album.



CRONOFOBIA EP

Nuovo sound per la band bresciana. Si riparte con un EP di soli quattro brani che danno l'idea di quello che sarà il futuro della band. Molto più orientati verso un alternative italiano con molta più importanza ai testi come spesso accade alle band nostrane. Ma con la musica che va a pescare in quella scena di Seattle che ispira gruppi da ormai due decenni (Oggi sembra meglio ricorda sinistramente i Pearl Jam più recenti, il cantato che spesso richiama Cornell).
Quattro traccie sono ben poche per capire se il nuovo percorso è quello giusto, ma ci si può fare un'idea. Che in questo caso non è per nulla male, visto che la band cerca di orientarsi su qualcosa di più accessibile, 
senza tralasciare la qualità.  


KYNESIS – KALI YUGA

Venature Doom, atmosfere al limite del mistico, un tocco di elettronica ben messo. Questa è la ricetta dei torinesi Kynesis che debutta con questo Kali Yuga, primo disco prodotto dalla stessa band.
Trame lunghe e complesse, ordite, mai banali. E che bisogna sentire e risentire per poter cogliere appieno tutte le variazioni sul tema proposte dalla band torinese. Che riesce a spaziare in vari ambiti Metal senza mai perdere la rotta.
Da non amante del metal italico devo dire che si tratta di un ottimo lavoro per i Kynesis, ennesima dimostrazione che nel nostro paese si può fare buona musica.

venerdì 5 dicembre 2014

Racensione AC/DC - Rock or Bust

È stato un shock ricordare che erano passati già sei anni da Black Ice. Sarà che in questi anni gli AC/DC hanno fatto parlare di loro in modo continuo, vuoi per cose positive ( Tour mondiale infinito e milionario) sia per cose negative ( la malattia che ha portato Malcolm Young all'abbandono della band, l'arresto di Phil Rudd accusato di aver organizzato un omicidio). Ma i quarant'anni di carriera sono una data da festeggiare, quindi ecco arrivare Rock or Bust, il diciassettesimo album in studio della band australiana.
E già dall'uscita del singolo Play Balls si era inteso che la band di Angus Young non avrebbe cambiato una virgola rispetto ai loro lavori precedenti. Ma in fondo ci si poteva aspettare altro da una band che è sulla cresta dell'onda da quattro decenni?



Soliti riff, solito cantato di Brian Johnson, il tutto imbastito per portare all'apoteosi degli assoli di Angus Young. Undici brani che faranno contenti i fans, e non faranno cambiare idea a chi non li apprezza. Ma che hanno le potenzialità per essere molto efficaci dal vivo, vero punto di forza degli AC/DC. Perché a dispetto dei loro coetanei che ormai sono prossimi alla pensione, gli show di Angus e soci sono ancora di tutto rispetto.
Cercavate qualcosa di nuovo da questo album? Cambiate direzione. Cercavate il solito sound che negli ultimi venti anni ha accompagnato gli AC/DC? Siete nel posto giusto.

mercoledì 26 novembre 2014

Recensione Matinée - These Days

Emigrare è quasi una necessità di questi tempi. I Matinée nascono in Italia e crescono musicalmente in quel di Londra, che gli dà una grossa mano per il loro sound. Perché questo primo lavoro dei Matinée risente fortemente dei richiami e degli spunti che la musica britannica degli ultimi anni ci ha offerto. A partire dal nome che si ispira a una canzone del primo lavoro dei Franz Ferdinand ( The Dark of the Matinée) per arrivare ai suoni e di cui si tinge questo debutto.
These Days come molti altri dischi d'esordio prova a mescolare diversi stili e influenza che i musicisti hanno avuto nel corso della loro vita. Ecco quindi trovare richiami appunto ai Franz Ferdinand ( City Lifestyle, All The Good Fella's) o a un pop-rock di fattura anglofono che tanto va in questo periodo ( Missing Pieces of a Jigsaw). Il singolo, che dà anche il titolo all'album, These Days è un perfetto brano pop che già ha fatto presa sul pubblico, così come altri brani di questo primo album, che sembrano essere fatti dal sarto per farsi cantare nei live della band.
Ma il lavoro da fare è ancora parecchio. Soprattutto perché sembra i Matinée non abbiano ancora deciso quale sia la strada da far prendere alla loro musica. Ma il tempo è tutto dalla parte della band che di certo saprà scegliere il percorso giusto per il prosieguo della propria carriera.  

mercoledì 12 novembre 2014

Recensione Nadàr Solo - Fame

Fame di emozioni, Fame di vita. In questi tempi duri è forse solo la Fame che può aiutarci a tirare avanti. Ed è la Fame a portarci a storie marginali e dure. Ed è quello che mettono Nadàr Solo nel loro nuovo lavoro. Testi violenti uniti a una musica che sa essere potente e delicata, aggressiva e melodica.
Un lavoro che prende spunto dalla scena alternative italiana degli ultimi anni, che si ispira ma non copia, cercando di creare uno stile proprio. Si sentono i Marta sui Tubi ( La Vita funziona da sé) abbastanza normale visto che nel disco collabora Mattia Boschi, si sentono gli Zen Circus ( Piano Piano Piano) con la collaborazione di Appino cancellata all'ultimo momento. Si va dal singolo che strizza l'occhio al pop ( Non Volevo) a brani più duri sia nella musica ( Jack Lo Stupratore) che nei testi ( Cara Madre). Si parla di violenze domestiche ( Cara Madre) e storie di provincia che spesso non vengono raccontate ( Ricca Provincia).



I Nadàr Solo cercano di far emergere il loro stile mescolando pop a sturiate più rock.
Mescolando toni leggeri con parole pesanti. Matteo De Simone riesce a raccontare storie anche tremende con gran classe, e il resto della band riesce a supportarlo nel migliore dei modi, creando affreschi che fanno riflettere, che di questi tempi non è un male.  

sabato 8 novembre 2014

Recensione Foo Fighters - Sonic Highways

Dave Grohl è ovunque. Solo nell'ultimo anno lo abbiamo trovato nel disco dei Queens of the Stone Age e alla direzione del documentario Sound City e di un videoclip dei Soundgarden. Era arrivato anche il momento di dare un nuovo capitolo alla storia dei Foo Fighters, quindi ecco arrivare Sonic Highways seguito di Wasting Light uscito tre anni fa.
Oramai il sound della band di Dave Grohl è consolidato da tempo. Rock diretto e duro, poco spazio a manipolazioni, il tutto suonato ideato da una delle menti musicalmente migliori degli ultimi vent'anni. E questo Sonic Highways altro non è che l'ennesimo, riuscito, tentativo di erigersi a miglior rockband al mondo. Perché è vero che negli ultimi anni le porte del mainstream si sono aperte per la band americana, ma fatto sta che ancora riescono a produrre veri e propri dischi rock, come non fanno più in molti ai nostri tempi.
Sonic Highways parte forte e non ha intenzione di fermarsi per alcun motivo. Si pesta sul pedale dell'acceleratore dal primo all'ultimo secondo di questo nuovo lavoro. Nulla di innovativo e molto già sentito nei precedenti lavori di Grohl e soci, che viene rimescolato per provare a sembrare qualcosa di nuovo, mentre di nuovo c'è ben poco. Ma fino a che viene suonato così, ben venga.



Purtroppo di vere e proprie rockband di livello ne sono rimaste poche ai giorni d'oggi. Quindi sono ben accette tutte quelle che portano grande musica al grande pubblico. Se poi per arrivare a un pubblico immenso si propone anche dell'ottima musica, è ancor più ben accetto. 

venerdì 7 novembre 2014

Recensione Pink Floyd - The Endless River

Una sorta di funerale celebrato con venti anni di ritardo. Questo sembra essere The Endless River. La celebrazione di una band morta due decenni fa, ma sempre tra i primi come gradimento del pubblico. Perché i Pink Floyd hanno segnato la vita di chiunque si sia avvicinato a loro. E difficilmente sono tornati indietro. Ecco ora arrivare questi scarti degli ultimi lavori, quando la band era guidata da Gilmour.
Ed è proprio il chitarrista del band britannica a dominare la scena, con Mason a fare da supporto in questa rivisitazione di vecchi pezzi mai pubblicati. Si risente, con piacere, anche il defunto Wright alle tastiere con registrazioni vecchie di decenni. Ma è proprio il grande assente quello di cui si sente la mancanza. Come gli ultimi due lavori ( A Momentary Lapse of Reason e The Division Bell) viene a mancare il genio, quello che erano stati prima Barrett poi Waters.
Il disco è tecnicamente impeccabile, eseguito alla perfezione, ma manca lo spunto decisivo. Ci si perde ad ascoltarlo, le atmosfere fanno tornare la mente a anni ormai passati. L'essere totalmente strumentale, fatta eccezione per il singolo Louder Than Words, rende l'esperimento ancora più a pannaggio di Gilmour che giostra a piacimento i tempi del disco, dote in cui è sempre stato artista superbo.



Per chi vi scrive questo era il disco più atteso dell'anno. Forse del decennio. E il risultato non mi ha deluso più di tanto. Si torna agli ultimi anni della band, probabilmente non i migliori, ma che comunque offrivano comunque picchi di assoluta grandezza. Ma resta sempre un funerale, quindi si arriva a fine disco con la consapevolezza che sarà l'ultima puntata di una grandissima storia. 

giovedì 30 ottobre 2014

Recensione Nicola Barghi - Elettroshock

Con il passare dei dischi si acquista una sempre maggior consapevolezza dei propri mezzi. Ecco perché arrivati al quinto disco ci si può considerare quasi perfetti nella creazione di un album. Perché si è coscienti di dove e quando vada inserito ogni singolo episodio. Questo è quello che deve aver portato Nicola Barghi a questo suo nuovo lavoro. Elettroshock è il sunto di esperienza maturata in anni e anni di musica.
Un disco solare, aperto, colorato e vivace. Che riesce a muoversi in larghi spazi senza mai perdere la via maestra. Il pop al centro di tutto, con deviazioni verso l'elettronica ( A Show) o verso atmosfere più rock ( We Felt Fine). Addirittura c'è un accenno di Rockabilly ( Little Girl) e non si crea problemi a cantare in inglese o in italiano ( Bugie, Elettroshock). Tra gli undici brani abbiamo anche due cover di brani celebri, Lonely Boy dei Black Keys e Old Brown Shoe dei Beatles. E se la prima si mantiene abbastanza fedele all'originale, la seconda vive di una nuova vita orientata all'elettronica più radicale, risultando decisamente riuscita.



Il risultato di Elettroshock è un disco con una bellissima confezione, senza per questo essere vuoto all'interno. Un disco che fa divertire con leggerezza, come dovrebbe sempre fare il pop. Un lavoro che può accompagnare di sfuggita o essere ascoltato con attenzione, buono per qualsiasi occasione in cui non ci si voglia appesantire, ma si voglia ascoltare musica ben fatta. 

mercoledì 22 ottobre 2014

Recensione Tutte Le Cose Inutili - The Fence - Giovanni De Cillis

TUTTE LE COSE INUTILI – Dovremmo Essere Sempre Così

Il punk non è solo un modo di suonare ma è soprattutto un modo di porsi e di comportarsi. Ecco, Tutte le cose inutili hanno l'atteggiamento del punk. Testi diretti, musica senza fronzoli, e una sana voglia di dire le cose per come gli passano per la testa. E lo fanno con un'ottima attitudine alla composizione, in cui nessuna parola è banale ma sempre inserita alla perfezione nel contesto del loro punk-cantautorale.





THE FENCE – 14 EP

Apertura Beatlesiana ( All That Matters To Me), prosecuzione su un pop molto orecchiabile ( Don't Be Sad) per poi arrivare a una punta di elettronica che di questi tempi è d'obbligo ( Nowhere Land). Ma poi venir spiazzati da un tango inaspettato è bellissimo ( Shame) e chiudere con un pezzo ( Run & Hide) dai tratti epici e forse un po' troppo pomposi. C'è da dire che ai The Fence non manca la voglia di provare varie forme espressive, e c'è da dire quasi tutte con ottimi risultati. In attesa di un lavoro più lungo questo EP 14 è decisamente un'ottima prova



GIOVANNI DE CILLIS – Dalle Vie Di Milano

Quattro brani sono sempre troppo pochi per poter giudicare appieno un artista. Giovanni De Cillis ci offre una semplicità, musicale e nei testi, che ci riporta a qualche decennio fa, nel periodo di massimo splendore dei cantautori italiani. Una chitarra, un po' di archi messi qua e là, il tutto appoggiato su morbidi arpeggi. Con una sottile malinconia che non manca mai nei cantautori nostrani. Anche se qua l'influenza della scuola francese si sente con forza. Anche qua restiamo in attesa di un lavoro più completo per poter giudicare, ma le basi sono più che discrete.  

giovedì 16 ottobre 2014

Recensione Fast Animals And Slow Kids - Alaska

I Fast Animals And Slow Kids sono ormai una certezza nel panorama musicale italiano. I riconoscimenti e il successo che stanno raccogliendo non è passato inosservato. Ecco perché il loro nuovo lavoro Alaska era uno dei più attesi di questo 2014.
Fin dal loro esordio discografico ormai datato 2010 i FASK non hanno fatto altro che urlarci tutta la loro rabbia di giovani che vivono in questi anni difficili. Ecco, chi si aspettava un cambiamento di rotta lasciasse perdere. I quattro musicisti perugini continuano a pestare sugli strumenti come se il domani non esistesse.
E iniziando a sentire Alaska il dubbio che qualcosa fosse cambiato mi era venuto. La partenza acustica di Overture, con i suoi versi gracchiati più che cantati aveva fatto pensare a qualcosa di diverso. Ma è durata due minuti. Per i successivi trentacinque non c'è un attimo di tregua. I FASK prendono a pugni nello stomaco l'ascoltatore per quasi tutti e nove i restanti brani. Un attimo di tregua ce lo concedono con Il Vincente, una ballata con tanto di piano, che però non fa altro che mettere in mostra tutte le capacità di questa band, che si dimostra all'altezza con un brano non proprio nelle loro corde. E il Gran Final è un'altra grande prova di talento, una lunga cavalcata in cui i FASK sanno rallentare per poi esplodere di nuovo per chiudere in bellezza.


Cos'altro dire? Forse dal terzo disco ci si poteva aspettare un qualche tipo di cambiamento o sperimentazione, ma perché farlo se sei bravissimo a fare quello che sai fare? Questo deve esser stato il ragionamento fatto dai FASK e i fatti sono là a dargli ragione, visto che Alaska se possibile suona ancora più violento e arrabbiato dei loro precedenti lavori.

sabato 4 ottobre 2014

Recensione Autumn's Rain - Lago Vostok

Autumn's Rain – OM


L'OM è il suono primordiale, quello da cui tutto ebbe inizio. Ed è forse questo l'obiettivo degli Autumn's Rain. Scavare la superficie per arrivare al nucleo, all'inizio, alla purezza. E provano a farlo con un rock vecchio stile, tutto chitarre e assoli, in cui ci si avvicina a volte all'Hard Rock e a volte all'Alternative, tutto attraversato da una scossa che riecheggia e porta diritti al punk. Il tutto condito da testi che vanno a colpire la psiche umana e quello che di futile la controlla.
Ottimo lavoro per il trio giunto al secondo lavoro, un ennesimo modo di ribadire che musica fatta a dovere è possibile in Italia.


Lago Volstok – Decorso Infausto


Controtempi e cambi di ritmo. Basso incalzante e chitarre acide. Non una singola parola ma tutto lasciato alla musica. Tanta voglia di sperimentare. Un incrocio tra Math-Rock e Post-Rock con un pizzico di Prog. Un lavoro che ti stacca dal mondo mentre lo ascolti. Un disco ben fatto, ben suonato e con tante buone idee, che per coglierle tutte lo devi sentire e risentire.
Quello che avete appena letto è un flusso di pensieri usciti durante l'ascolto del disco dei Lago Volstok.


giovedì 2 ottobre 2014

Recensione Thom Yorke - Tomorrow's Modern Boxes

Ormai restare stupefatti da Thom Yorke non dovrebbe essere più una novità. Dalla metamorfosi dei Radiohead nel corso degli anni, al progetto Atom For Peace, alle novità in ambito di distribuzione dei propri lavori, il cantante britannico dovrebbe averci abituato alle novità. Ecco così arrivare, senza annunci e a sorpresa, il nuovo lavoro solista del frontman dei Radiohead. Tomorrow's Modern Boxes arriva a distanza di otto anni dal primo lavoro solista The Eraser, e viene dato agli ascoltatori tramite la piattaforma BitTorrent, leader del filesharing, al costo di 6 dollari.
E se si aggiunge una novità dal punto di vista della fruibilità della musica, anche dal lato artistico non sono poche le sorprese. Ormai la trasformazione del suono dei Radiohead verso l'elettronica è completato, e tutti sono a conoscenza della passione di Thom Yorke per l'attività di DJ. Ecco quindi che veniamo portati in un club di Londra, uno di quelli dove Yorke mette la sua passione in gioco.
Suoni cupi, ripetitivi, quasi ossessivi sono l'asse portante di questo disco. Ritmi incalzanti si alternano con pianoforte e voce ( Guess Again), lasciando poi spazio a una brano che sembra essere una canzone d'amore ( Interference) per tornare poi a chiuderci in quel locale fumoso e non uscirne più. Si ritorna in un posto buio e cupo, senza possibilità di fuga e di salvezza, quasi come se Thom Yorke volesse portarci sempre più dentro le proprie ossessioni, o almeno in quelle che ancora non aveva esplorato in tutti i suoi precedenti progetti.



Thom Yorke dimostra come con la musica ci si può giocare e si può modellare a proprio piacimento, senza per questo abbassare degli standard qualitativi che ormai hanno raggiunto vette quasi inarrivabili.  

mercoledì 24 settembre 2014

Recensione Marlene Kuntz - Pansonica

In questo 2014 i Marlene Kuntz festeggiano i vent'anni dall'uscita di Catartica. Una di quelle ricorrenze che vanno ricordate. Ma invece di proporci la solita versione rimasterizzata, risuonata, remixata e similari, Godano e compagnia ci offrono in dono sette brani di quel periodo, sette canzoni finora mai pubblicate ufficialmente. Canzoni nate nel periodo che si concluse con Il Vile, che per qualche tempo trovarono spazio dal vivo per poi restare solo negli archivi della band di Cuneo.
Già dal titolo Pansonica vuol ricordare il brano che più di tutti ha segnato il successo del gruppo, quella Sonica che gli ha aperto le porte del grande pubblico. E i sette brani proposti mantengono un filo conduttore con la produzione dell'epoca, sebbene risuonate a distanza di vent'anni. Un operazione che renderà felici sia i fans della prima ora che ritroveranno suoni che la band ha quasi totalmente abbandonato, ma anche utile per chi la band l'ha scoperta più tardi che può accedere e avvicinarsi meglio al vecchio repertorio.
Ma è anche abbastanza lontano da quello che sentivamo parecchio tempo fa. In Pansonica sono le linee di basso a farla da padrone, la voce di Godano è quella matura degli ultimi anni, e il tutto suona ruvido e ancestrale ma che perde la violenza che era la base portante dei Marlene Kuntz dell'epoca.



Un disco che vuole ricordare un periodo meraviglioso per la band, e aggiungo io per un certo di tipo di musica in Italia, ma che suona un po' anacronistico a sentirlo ora da una band che ha sposato una poetica totalmente diversa rispetto al passato. Ma che ci fa riportare la memoria a quegli anni dove tutto è nato, e ci dà prova di un gruppo in forma e con tanta voglia di suonare. 

domenica 21 settembre 2014

Recensione Fabi Silvestri Gazzè - Il Padrone Della Festa

La “Scuola Romana” degli anni '90 è ormai un punto fermo della musica italiana di questi anni. Tanti artisti che da ormai più di un ventennio si dimostrano stima e non disdegnano collaborazioni. Ecco perché quando vidi la notizia di un disco a tre Fabi, Silvestri e Gazzè la cosa non mi stupì più di tanto. Era forse solo questione di tempo, vista l'amicizia che li lega ormai da tempo.
Dodici brani, sei in trio, due di Fabi, tre di Gazzè e uno di Silvestri. In cui ognuno porta il proprio stile e al propria unicità. E sono proprio i sei pezzi in combinata che risultano essere i migliori del disco. Nulla di nuovo, ma tre ottimi artisti che mettono al servizio l'uno dell'altro la propria arte. E così ecco emergere la delicatezza di Fabi, la stravanganza di Silvestri e quel tocco di sperimentazione portata da Gazzè.
L'inizio del disco con Alzo le mani è quasi una dichiarazione d'intenti ( Io non suonerò mai così. Posso giocare, intrattenere, far tornare il buonumore o lacrimare) sullo spirito del disco. Una voglia di divertirsi tra amici e il portare poi questo divertimento tra il pubblico quando questo lavoro verrà portato in tour nelle prossime settimane.


Il Padrone Della Festa è di certo un lavoro ben riuscito, in cui tre tra i migliori cantautori nostrani si uniscono per dar vita a qualcosa, si spera, di duraturo. Non farà gridare al miracolo, ma un disco completo e vario, in cui tutti e tre sembrano a loro agio con gli altri. E il fatto che le parti migliori del disco siano quelle in cui sono insieme a comporre dovrebbe farli pensare a qualcos'altro per il futuro.

sabato 20 settembre 2014

Recensione Franco Battiato - Joe Patti's Experimental Group

Confesso. Quando ho letto le interviste e gli articoli che parlavano del ritorno all'elettronica di Franco Battiato un brivido mi ha attraversato la schiena. La fase successiva è stata l'elaborazione. Quando arriva una notizia del genere la paura c'è sempre. Tornare a fare quello che facevi trenta e più anni fa ti porta su un confine sottilissimo, tra un grande lavoro e l'essere la caricatura di te stesso. Ecco perché l'attesa per questo Joe Patti's Experimental Group, per quel che mi riguarda, era alle stelle.
Quello che sentiamo in questo nuovo lavoro è un Battiato che suona, canta, declama, interpreta e si dimostra in uno stato di ispirazione ottima. Crea, con l'aiuto di Pino Pinaxa Pishetola, un'atmosfera antica, ma che non scade mai nel vecchio o già sentito. Perché si torna a sperimentare come negli anni '70 e si cerca di aggiungere qualcosa a quel meraviglioso passato, andando anche a ripescare un pezzo da quel periodo e riproponendolo in nuova veste ( Proprietà Proibita).
Trama intricate, linee melodiche che si intrecciano con sintetizzatori, voci che si accavallano tra loro. In alcuni tratti Battiato sembra divertirsi a riscoprire qualcosa che non proponeva da una vita, ma che aveva lasciato sotto forma di indizio negli ultimi lavori.


Joe Patti's Experimental Group poteva essere uno dei lavori peggiori dell'anno. Non sono pochi gli artisti che raggiunta una certa età si mettono in gioco in campi non più loro e ne escono sconfitti. Battiato ne esce egregiamente con un lavoro che non perde interesse a ogni singolo ascolto, che invece a ogni volta che si mette il disco si scopre qualcosa di nuovo.


sabato 13 settembre 2014

Recensione U2 - Songs Of Innocence

Gli U2 dell'ultimo decennio sono la band che ha diviso più di tutti l'opinione pubblica. Fans che li idolatrano trovando il loro la musica totale e orde di denigratori che vorrebbero vederli fare qualsiasi cosa che non sia musica. E negli ultimi anni questa seconda categoria, tanto che gettare fango sulla band irlandese sembra essere diventato sport olimpico. E questo arrivo a sorpresa di Songs Of Innocence non ha fatto altro che scatenare l'ennesimo putiferio intorno alla band di Bono.
Togliamoci subito il dente. Questo nuovo lavoro non si discosta molto dal livello dei due precedenti album, How to Dismantle an Atomic Bomb e No Line on the Horizon, che avevano mostrato un declino sempre più marcato a livello compositivo. Il tocco magico che si era esaurito con Zooropa non è stato di colpo ritrovato. E ci troviamo davanti a un disco più intimo rispetto al passato, ma che va a pescare nella parte peggiore della discografia degli U2.
La strenua ricerca del pezzo da classifica ha prodotto un appiattimento generale del disco, portandolo a essere una semplice riproposizione di cose già sentite negli ultimi tempi, sia proposte da Bono e soci, sia proposti in generale dal pop-rock mainstream di un certo tipo. In molti casi si fa anche fatica a distinguere un brano dall'altro, situazione in cui ogni brano sembra essere la ripetizione del precedente e così via. Unica nota di merito a Raised By Wolves che ritorna si al passato, ma a quello glorioso dei primi lavori, lasciando ancor di più l'amaro in bocca per quello che potrebbe essere e invece non è.



Ci sono tantissimi gruppi ormai “storici” che hanno raggiunto la consapevolezza del loro status, e sopravvivono grazie al loro passato senza andare a cercare nuovi consensi, ma non rischiando neanche cadute di stile. Gli U2 non sono ancora giunti a questo livello e si fa fatica a difenderli dopo l'ennesimo lavoro non all'altezza della loro grandezza. Purtroppo per chi, come me, considera i lavori degli anni '80 degli U2 dei pezzi di storia è difficile vederli e sentirli così. 

domenica 27 luglio 2014

Recensione 7 Training Days - Wires

Chitarre distorte, tante influenze e un sound deciso e potente. Questi sono gli ingredienti principali di questo nuovo lavoro dei 7 Training Days. Wires arriva dopo otto anni di attività della band, che li ha visti pubblicare un disco e un EP negli ultimi tre anni.
E questa esperienza maturata in quasi un decennio di attività la si ritrova in questo loro nuovo lavoro, che lascia pochi spazi alle sbavature e ci offre una band solida e coesa.
Ritmi malinconici e sospesi, tanti brani che sembrano sempre sul punto di esplodere ma che poi si richiudo a ricciolo su loro stessi, lasciando quasi un senso di incompiutezza in chi li ascolta. Ma non deve essere visto come un difetto, anzi. È una chiara scelta della band che sembra voler lasciare sospesi gli ascoltatori in una sorta di limbo.
E come detto si sentono anche tante influenze. La maggior parte delle quali arrivano direttamente dagli anni '90 e da un certo tipo di musica alternativa. La via maestra tracciata un rock abbastanza orecchiabile e fruibile ai più, ogni tanto divaga andando a battere strade a volte vicine al post-rock ( I Will, The Greater Good ) e a volte invece più vicine a uno scanzonato Brit-pop ( You Are Not Me, Down By The River).


Ma il punto principale di qualsiasi disco al mondo è avere dei bei brani. E i 7 Training Days ne propongono dodici tutti decisamente buoni, in cui è difficile trovare un punto debole.

martedì 22 luglio 2014

Recensione Morrissey - World Peace Is None Of Your Business

Una ritrovata ispirazione. O meglio, guardare al passato per ritrovare l'ispirazione. World Peace Is None of Your Business è in sostanza un la ricerca di certezze, a livello artistico, dopo diversi anni, e diversi dischi, in cui queste certezze sembravano perse. Morrissey non torna quello di trent'anni fa, ma di certo si ripropone a più che discreti livelli dopo qualche lustro di produzioni non sempre all'altezza.
Un disco che non fa gridare al capolavoro, ma che ci ripropone un'artista con qualcosa da dire. I temi sono quelli che Morrissey va gridando ai quattro venti ormai da anni. Impegno animalista ( The Bullsfighter Dies), violenza sulle donne ( I'm Not A Man) e una sorta di demotivazione contro i poteri forti del mondo ( World Peace Is None Of Your Business).
Dal punto di vista musicale Morrissey fa quello che gli è sempre riuscito al meglio, fare Pop. Pop elegante e raffinato, che come detto guarda agli antichi fasti per cercare di tornare sulla cresta dell'onda. Non è un mistero che le parti migliori di questo nuovo album siano quelle che hanno un fortissimo sapore degli Smiths ( Istanbul, Kiss Me A Lot) ma anche l'acustica Mountjoy non sfigura per nulla. Ma a fare da contraltare ci sono anche alcuni bassi che fanno tornare alla mente il Morrissey degli ultimi lavori solisti.


Un disco nella media per un artista che purtroppo vede arrivare prima il suo nome rispetto alla sua musica. Purtroppo però quando ci si trova davanti a chi ha fatto la storia della musica non possiamo che aspettarci sempre qualcosa di più. Ma come detto è anche un notevole passo in avanti rispetto alla storia recente dello stesso Morrissey.

giovedì 17 luglio 2014

Recensioni L'Ordine Naturale Delle Cose - Palmer Generator - Plankton Dada Wave

L'Ordine Naturale Delle Cose - L'Ordine Naturale Delle Cose EP

L'Ordine Naturale Delle Cose nascono un anno fa e si presentano già con il primo EP, che porta lo stesso nome della band.
Suoni cupi e chitarre taglienti fanno da accompagnamento a una ricerca sonora che spazia dall'alternative alla psichedelia non risentendo di questo vagare in diversi ambiti sonori. Ma la cosa che risalta di più sono gli ottimi arrangiamenti, che tutto fanno pensare tranne che a una band al debutto. Unica nota un po' negativa è la voce che a tratti sembra andarsi a nascondere, invece di imporre la propria presenza, vista anche la presenza di testi più che buoni.
Solo quattro brani che però mettono in mostra doti notevoli. Ora sta alla band riuscire a sviluppare nel modo giusto.




Plankton Dada Wave - Haus Of Dada EP

Alcune band si prendono molto sul serio, quasi troppo. Per altre invece fare musica è un modo di divertirsi e divertire. I Plankton Dada Wave rientrano nella seconda categoria.
Questo nuovo EP Haus Of Dada ci regala sei nuovi brani perfetti per farci saltare e muoversi dall'inizio alla fine. Diciassette minuti di New Wave mista a Funk in cui si mettono in mostra anche doti tecniche notevoli. Una sorta di cazzeggio continuo ma sempre sotto controllo e carico di umorismo.
Secondo EP per il trio di Varese e ottima prova in tutti e sei i brani. E se è vero che c'è bisogno di musica impegnata, spesso anche del sano divertimento non è da disdegnare.



Palmer Generator - Shapes

Il confine tra vari generi è spesso labile. È un attimo passare da un lato all'altro e tornare indietro nel giro di un brano. I Palmer Generator con il loro secondo lavoro Shapes ci portano in un mondo fatto di suite lunghissime e cupe, quasi oscure, in cui spesso sembra di trovarsi davanti a un muro di suono. Stoner, Doom ma anche Post Rock. Questi sono gli ingredienti con cui la band marchigiana ci trascina in un viaggio di pezzi strumentali infiniti ( cinquanta minuti di disco per cinque brani), in cui a suoni giovani e pesanti, si mescola la voglia antica di non smettere mai di suonare.
Shapes è il classico lavoro che va riascoltato all'infinito per cogliere tutti i più piccoli dettagli che all'ascoltatore poco attento possono sfuggire a un ascolto superficiale. Ma ogni ascolto è valevole del tempo trascorso vista la qualità della musica dei Palmer Generator.

venerdì 11 luglio 2014

Recensione Sabrina Napoleone - La Parte Migliore

Viviamo in tempi difficili, e questo non dovevo dirvelo io. E questi tempi duri influenzano artisti nelle loro opere. Anche un'artista al debutto risente di tutta questa negatività che la circonda e la propria opera prima è lo specchio del mondo odierno. Sabrina Napoleone con questo suo debutto La Parte Migliore ci parla del disagio che viviamo in questi tempi. Disagio in amore, nei rapporti quotidiani, ma anche il disagio di vivere e di morire.
La privazione è l'argomento centrale dell'album, quella privazione per cui Sabrina Napoleone ringrazia chi le ha insegnato a lasciare agli altri la parte migliore ( La Parte Migliore ), che di suo è già una grande lezione di vita. Ma questa privazione la viviamo in ogni attimo della nostra vita. Che sia per nostra volontà o che sia per scelte di altri. La Parte Migliore è un disco che trasuda disillusione, raccontata con sensibilità e intimità. E anche se in alcuni passaggi si sente l'influenza di artisti che sono passati prima di lei ( Nada su tutte ), Sabrina Napoleone riesce a imprimere il suo marchio su ogni brano.
Anche per quel che riguarda la musica l'influenza della musica alternativa degli ultimi anni è molto forte, ma anche qui rielaborata per dare un tocco personale e mai banale. E questa voglia di provare la porta a sfiorare l'industrial ( Dorothy), la canzone d'autore ( Pugno di Mosche) senza però mai esagerare troppo e restando sempre nella strada maestra.


La Parte Migliore è un debutto eccellente per un'artista che si era già fatta conoscere nell'ambiente musicale. Un disco che trasuda eleganza e cultura ma senza mai voler essere superiore o saccente. Un disco intimo e personale ma che rispecchia lo stato d'animo di molti di noi.


Tracklist
01 – Fire
02 – L’indovino islandese
03 – Prima dell’alba
04 – La parte migliore
05 – Dorothy
06 – E’ primavera
07 – Insomnia
08 – Medusa
09 – Pugno di mosche

10 – Epochè