Pagine

venerdì 30 agosto 2013

L'Importanza di Chiamarsi Metallica

Fine anni '70. Inghilterra. Prende piede un movimento conosciuto come New Wave of British Heavy Metal. Gruppi come i Judas Priest, Motorhead, Iron Maiden e Diamond Head stavano riscrivendo il modo di suonare la musica pesante. Si allontanavano dagli Zeppelin e Purple, che partivano dal Blues e dal Rock, per andare a creare un suono più loro, volendo anche più puro. Ognuno di loro aveva un proprio stile, a volte completamente diverso tra loro, ma tutti con l'obbiettivo di andare a creare un nuovo sound. Il successo fu immediato e il passo per arrivare negli USA fu breve.
Questo nuovo genere attirò l'interesse di diversi ragazzi americani, che anche loro cercavano qualcosa di nuovo da ascoltare. Tra gli interessati troviamo un ragazzo danese trapiantato negli States con un brillante futuro da tennista davanti, un ragazzotto americano figlio di due adepti del cristianesimo scientista, un ragazzo dai capelli rossi molto problematico che all'età di quindici anni era già dedito alle droghe.


Lars Ulrich, James Hetfield e Dave Mustaine ( i tre ragazzi sopracitati ) avevano in comune la passione per la musica e anche che tutti e tre suonavano. Chi la batteria ( Ulrich ), chi la chitarra ( Mustaine ) e chi pianoforte, batteria e chitarra ( Hetfield ). Nel 1981 un annuncio su una bacheca nella scuola superiore che frequentavano permise a Ulrich e Hetfield di incontrarsi per cominciare a suonare insieme. Siccome in due erano pochi si unirono a loro Dave Mustaine e al basso Ron McGovney ( Amico di Hetfield ). Si inizia con cover dei Diamond Head per poi creare piano piano qualcosa di loro.
Siamo nei primi anni '80 e la nuova ondata Metal prende sempre più spazio nell'universo musicale mondiale ed anche quei ragazzi californiani passano dalle cover ai primi pezzi scritti da loro. E arriva anche il momento di trovarsi un nome. Si decise per Metallica. Leggenda vuole che Ulrich aiutava un amico a scegliere un nome per una rivista che trattava Metal e propose due nomi: Metal Zone e Metallica. La rivista prese il primo, Lars tenne il secondo per la band. Nel 1982 si registra la prima canzone per i quattro ragazzi, Hit The Lights che andò a finire in una raccolta di band metal che sorgevano in America in quegli anni.
Ma per crescere bisogna fare delle scelte nella vita, e l'occasione per scegliere ai Metallica capita nel 1982 a seguito dell'abbandono del gruppo da parte di McGovney. Si cerca un nuovo bassista e la coppia Ulrich/Hetfield assistono al un concerto dei Trauma allo storico locale Whisky a Go Go. Il bassista della band è tale Cliff Burton che convince subito i due ragazzi a invitarlo a unirsi a loro. Burton accetta chiedendo però agli altri tre membri di trasferirsi a San Francisco. Intuito il talento del bassista gli altri accettano senza remora e la formazione della band è ormai definitivo. In un film ci sarebbe una voce fuori campo che direbbe : “La storia del Metal non sarebbe stata più la stessa”. E così sarà.
I Metallica sono ormai abbastanza conosciuti in ambito locale a seguito di diversi concerti nei locali californiani e pensano sia giunto il momento di registrare il primo disco. Si vola a New York per iniziare a incidere. Ma nella vita non è tutto rose e fiori, così poco dopo l'arrivo nella Grande Mela arriva il primo scossone all'interno della band. Viene cacciato a malomodo il chitarrista Dave Mustaine, accusato di un abuso eccessivo di droga che non gli permetteva di dare il meglio per la band. Una scelta che porterà molte ripercussioni, sia a livello musicale che legale. Mustaine aveva composto tutte le parti soliste del primo album dei Metallica e scatenerà una battaglia legale per il riconoscimento delle stesse, causa che lo porterà ad avere i diritti di un brano per intero ( The Four Horsemen ). Mustaine decise di fondare una sua band che sarà per anni posta a contraltare dei Metallica, i Megadeth. Per sostituire il chitarrista venne scelto Kirk Hammet, chitarrista degli Exodus, altra band Metal nata in quegli anni in California. Con il disco già pronto e la formazione ormai completa nel 1983 vede la luce il primo disco dei Metallica.



Kill 'Em All è una sorta di rivoluzione nel Metal. La potenza delle band inglesi suonato a una velocità mai proposta prima portò i Metallica sulla bocca di tutti. Segnava anche la nascita di un genere il Trash Metal. Con 5 milioni di copie vendute nel giro di pochi mesi risultò essere uno degli esordi migliori di sempre, il che convinse a ritornare subito in studio a registrare il seguito. RideThe Lighting è uno dei dischi più potenti mai pubblicati fino a quel momento. Alla forza che volevano esprimere Ulrich e Hetfield si univa la capacità compositiva di Cliff Burton che con le sue melodie rendeva unici i pezzi dei Metallica. E difatti era proprio Burton l'anima della band, quello che tutti seguivano per la sua grande capacità musicale. Ed esplode in tutta la sua grandezza nel terzo disco della band. Master Of Puppets è uno dei capisaldi della musica mondiale, la pietra miliare del Trash Metal, il disco contro cui tutte le band Trash si sono dovute confrontare dopo la sua uscita. 12 milioni di copie vendute possono essere un buon punto di vista per capire cosa è stato Master.
Ma come già detto non sono solo rose e fiori, e l'ennesima svolta nella carriera dei Metallica è dietro l'angolo. Dopo un tour negli States di spalla a Ozzy Osbourne, si imbarcano in un tour europeo per proporre dal vivo il nuovo album. 27 Settembre 1986 è la data di svolta per i Four Horsemen. Si gira l'Europa a bordo di un pullman che li porta da un concerto all'altro e quella notte di Settembre si sta in Svezia. La dinamica non fu mai chiarissima, sembra che fu colpa della strada ghiacciata, fatto sta che l'autista del pullman perse il controllo del mezzo che si ribaltò. Quando furono tutti fuori dal pullman videro che uno di loro mancava. Si vedevano solo le sue gambe uscire da sotto il mezzo. Era Cliff Burton. Uno dei migliori bassisti di sempre stroncato a 24 anni da una fatalità. L'anima della band non c'era più.
I tre membri rimanenti furono fortemente tentati di mollare tutto e lasciare i Metallica nel loro angolo di grandezza. Ma se ti chiami Metallica e con i primi tre dischi hai rivoluzionato il mondo del Metal non puoi fermarti così, neanche Cliff avrebbe voluto che si fermassero.
Così si trovò un nuovo bassista, Jason Newsted e si andò in tour per far ambientare il nuovo arrivato con i classici della band. Nel 1987 si torna in studio per registrare il primo album senza Cliff. Potenzialmente poteva essere una tragedia, visto che per la prima volta si componeva senza il miglior musicista e mente della band. Il risultato invece fu il meraviglioso ...And Justice For All. Probabilmente a livello tecnico il miglior lavoro della band che si esibisce in pezzi di lunga durata e di una complessità mai proposti prima. L'unica cosa stonata è l'assenza quasi totale del basso, che per tutto l'album fatica a sentirsi. C'è spazio anche per una dedica all'amico scomparso. To Live Is To Die pezzo strumentale ultima composizione di Burton. Ma in quella notte Svedese qualcosa era cambiato per sempre e i cambiamenti si iniziarono a vedere già da questo punto. Burton era sempre stato un purista della musica e aveva sempre imposto alla band di non fare videoclip per promuovere i loro pezzi. One è il primo video della band che scatenò infinite polemiche tra i fans più oltranzisti della band, che vedevano la scelta di finire nei canali musicali commerciali come una perdita di purezza rispetto alle origini.
Dopo sei anni senza sosta la band decise di prendersi una pausa, continuando a suonare dal vivo con ritmo meno frenetico e aspettando qualche anno per pubblicare un nuovo album.
Oramai erano una band di culto a livello Metal, ma il vero successo di pubblico non era arrivato, nonostante fossero considerati i migliori nel loro genere.
Altra svolta. 1991. La band torna in studio per registrare il quinto album. Quando sei titolare di quattro dischi fantastici è difficile ripetersi, puoi continuare a vivacchiare nel tuo orticello, fare un disco simile ai precedenti fare contenti i fan e vivere sereno. Oppure puoi presentarti con un disco che praticamente abbandona il Trash Metal, ci sono riff accattivanti e orecchiabili e addirittura puoi proporre la prima ballata della band. I Metallica optano per la seconda via. Metallica, conosciuto ai più come Black Album per via della cover completamente nera, risulterà uno dei dischi più controversi della storia. Premesso che si tratta di un ottimo album ha scatenato discussioni che a distanza di oltre vent'anni ancora non si placano. I fans arrivarono a odiarlo, nonostante lo consideravano un bel disco, a fare da contrappunto però c'era il riscontro commerciale che il disco otteneva. Prima volta nella storia che una band Metal arrivava al n° 1 in classifica di vendite, 38 milioni di copie complessive, singoli come Enter Sandman e Nothing Else Matters che li proiettarono in un successo commerciale mai raggiunto prima di allora.



E per alcuni la storia dei Metallica finisce qua. Tutto quello che viene dopo è contorno.
Dischi discutibili ( Load, Reload e St. Anger ), ritorno alle origini che ha fatto felici in molti ( Death Magnetic ), collaborazioni improbabili con Lou Reed, guerra a Napster, folle oceaniche ogni volta che affrontano un concerto, un documentario che somigliava tanto a un funerale per la band. Tutte cose che hanno avuto l'onere e l'onore di aumentare a dismisura la popolarità della band e che non hanno fatto altro che far capire, soprattutto a loro stessi, quanto sia pesante quel nome che hanno sulle spalle. 



mercoledì 28 agosto 2013

Recensione Marlene Kuntz - Nella Tua Luce

A un passo dal ventennale per la band di Cuneo, arriva il loro nuovo album Nella Tua Luce, il nono disco in studio per Godano e soci, primo autoprodotto dalla band e l'ideale seguito di Ricoveri Virtuali e Sexy Solitudini del 2010.


Ormai tutti ci siamo accorti che i tempi di Catartica e Il Vile sono passati ormai da un pezzo. La band piemontese nel corso degli anni ha intrapreso un viaggio complesso nella loro musica, andando oltre la rabbia e la potenza dei primi lavori. Un percorso che a tratti li ha visti anche andarsi a rintanare in angoli un po' distanti dal pubblico, ma evidentemente erano dei passi necessari per arrivare alla giusta maturazione musicale.
Questo nuovo lavoro in studio è un po' il sunto della carriera dei tre piemontesi a questo punto delle loro vite. La scrittura e la composizione hanno raggiunto ormai un punto elevatissimo, con una raffinatezza che li contraddistingue da circa quindici anni. Non sono stati abbandonati completamente i suoni della prima parte della loro carriera, ma in qualche modo sono stati trasformati per renderli più comprensibili a un pubblico più vasto.


Il disco si apre con la Titletrack Nella Tua Luce, una sorta di invocazione a una musa come facevano i grandi poeti di un tempo. Non mancano i pezzi che richiamano al passato, su tutti Solstizio ( primo singolo estratto ), Il Genio e Senza Rete, ma è la ricercatezza a farla da padrone, sia nei testi che nella musica, sia nei temi trattati. Se per lunghi tratti della carriera è sembrato che i Marlene Kuntz osservassero il mondo da un piedistallo senza volersi intromettere, in questo disco non sono poche le avventure nel mondo odierno. Si va Catastrofe in cui ci si immedesima in un clochard, a Adele che tratta il sempre più spinoso caso dello stalking.
Ma la band di Godano è sempre stata famosa per il lato intelletuale, che li ha spesso portati a richiami nella poesia e nella letteratura. Non fa eccezione questo album in cui troviamo Il Genio ( L'Importanza di Essere Oscar Wilde ) che già dal titolo richiama al poeta famoso per i suoi aforismi, Osja, Amore Mio che parla della storia del poeta russo Osip Mandelstam mandato in esilio da Stalin per una poesia che lo derideva. Così come molto importante è il tema della scrittura, affrontato in Seduzione e Su Quelle Sponde, se nella prima viene riconosciuto ancora il potere della scrittura per la conquista di una donna, nella seconda viene trattata la scrittura quasi come una terapia, ma per conoscersi a fondo non solo per consolarsi.


I Marlene Kuntz ormai sono una delle certezze della musica nostrana già da qualche anno, e non fanno altro che ribadirlo con questo nuovo disco. Una maturità ormai raggiunta gli permette di andare a scavare sempre più a fondo nelle loro capacità in modo allargare sempre più i loro orizzonti. Sicuramente dopo anni di deviazioni, un ritorno su una via più dritta che li porta diretti a chi ascolta, per rimanerci molto a lungo.


Tracklist:

Nella tua luce
Il Genio (l’importanza di essere Oscar Wilde)
Catastrofe
Osja, amore mio
Seduzione
Adele
Su quelle sponde
Giacomo eremita
Senza rete
La tua giornata magnifica
Solstizio


domenica 25 agosto 2013

Recensione Avenged Sevenfold - Hail To The King

Gli Avenged Sevenfold hanno sempre fatto parlare di loro. Vuoi per la loro musica, vuoi per le polemiche per i loro testi politici e religiosi, vuoi per la morte di qualche componente del loro gruppo. Quindi bene o male basta che se ne parli ( Cit. ) sembra essere il motto di questa band americana. E tornano a far parlare di loro per il nuovo album Hail To The King, il sesto per la band, il primo dopo Nightmare del 2010.



La band californiana aveva cominciato a farsi conoscere con i primi lavori a inizio anni 2000 con un Metal tecnico e virtuoso, ma già con City Of Evil del 2005 si era iniziato a notare un cambiamento nel sound del gruppo, avevano intrapreso un percorso verso l'Heavy più classico, percorso che si può dire concluso con questo album.
Senza voler scomodare dei mostri sacri del genere, sembra quasi lo stesso passaggio fatto dai Metallica con la pubblicazione del Black Album, in cui abbandonavano quasi completamente il Trash.
Trascinato dal primo singolo nonché Titletrack Hail To The King che con un ottimo intro ricorda molto i vecchi lavori della band, ma è l'unica traccia di un passato ormai abbandonato.


La band non ha mai nascosto quali siano stati i gruppi che li hanno influenzati maggiormente nella loro musica, infatti è possibile trovare brani che ricordino il suono di questi gruppi. Coming Home ricorda da vicino una cavalcata alla Iron Maiden, This Means War i già citati Metallica di Sad But True ma è possibile anche possibile risentire nelle loro note i Guns n' Roses in Doing Time. Ma nel disco c'è spazio anche a una power ballad come Crimson Day che fa capire anche le potenzialità a livello melodico della band.
Un filo conduttore di tutto l'album è il tono epico che assume dall'inizio alla fine ma che esplode in tutta la sua forza in Requiem con i suoi cori in latino che danno ancora più forza al concetto. Planets è una piccola perla Heavy che entrerà subito nei cuori dei fan, e la traccia di chiusura Acid Rain ricorda sinistramente, e non so quanto volutamente, Feeling Good dei Muse soprattutto nell'intro.
Una nota di merito va data al nuovo e giovanissimo batterista Arin Ilejay chiamato a sostituire dietro le pelli il compianto The Rev scomparso nel 2009, eredità ancora più pesante visto che nell'ultimo lavoro della band, a suonare la batteria c'era un mostro sacro dello strumento come Mike Portnoy. Il giovane californiano svolge un lavoro più che degno, dimostrando di essere all'altezza del compito affidatogli.

Hail To The King lascerà forse un po' di amaro in bocca ai fan più vecchi, ma che gli permetterà di acquisirne di nuovi tra le schiere dei fan del Heavy. Un disco compatto e potente che dimostra una volta di più come sia giusto parlare di questa band, che dall'esordio di quasi dieci anni fa e con sei dischi alle spalle ancora deve compiere un passo falso.



TRACKLIST:



01.Shepherd Of Fire
02.Hail To The King
03.Doing Time
04.This Means War
05.Requiem
06.Crimson Day
07.Heretic
08.Coming Home
09.Planets
10.Acid Rain

sabato 24 agosto 2013

Recensione Franz Ferdinand - Right Thoughts, Right Words, Right Action

Altri quattro anni sono passati dall'ultima fatica discografica dei quattro ragazzi scozzesi. L'inizio dei lavori era stato dato nel 2010, a seguito del fortunatissimo Tonight: Franz Ferdinand. Questo Right Thoughts, Right Words, Right Action è un banco di prova per vedere se la band guidata da Alex Kapranos ha ancora voglia di stupire i propri fan.



Anticipato da due singoli pubblicati nel mese di Giugno, Right Action e Love Illumination ci hanno subito dato una mano a capire quale sarebbe stato lo stile del disco. Un disco che si discosta decisamente poco dalle precedenti pubblicazioni della band di Glasgow, anzi che si mantiene abbastanza costante al sound della band.
La partenza è delle più decise, con i due singoli già citati a farla da padrone e a dare ritmo al disco. Ritmo che non sembra arrestarsi neanche con la successiva Stand On The Horizon e Bullet.
Il filo conduttore che accomuna le prime sette traccie è la velocità, sia nel suonarle che nella durata. I Franz Ferdinand fanno una musica che conoscono a memoria, e che maneggiano a loro piacimento, un rock ballabile con più di qualche ammiccamento al pop che rende il tutto molto più vendibile.


Discorso a parte lo meritano le ultime tre traccie dell'album. Sembra che la band si sia voluta mettere in sicurezza con la prima parte dell'album, non hanno voluto rischiare nulla, cosa che provano però a fare con gli ultimi tre brani. The Universe Expanded, Brief Encounters e Goodbye Lovers & Friends hanno un sapore diverso rispetto al resto del disco. Hanno una spiccata connotazione più sperimentale, tra ritmi in levare e suoni vagamente orientaleggianti cercano di dire altro rispetto al semplice portare i fan a ballare sulle loro note.



Dieci brani che come detto non fanno rischiare nulla ai quattro ragazzi scozzesi, che suonano così come suonavano i loro precedenti lavori, ma con un finale che fa capire che i loro orizzonti si possono aprire in direzioni diverse, basterebbe correre qualche rischio, invece di rifugiarsi nel solito porto sicuro.


Tracklist :

1. "Right Action"
2. "Evil Eye"
3. "Love Illumination"
4. "Stand on the Horizon"
5. "Fresh Strawberries"

6. "Bullet" ++
7. "Treason! Animals"
8. "The Universe Expanded"
9. "Brief Encounters"
10. "Goodbye Lovers & Friends”

venerdì 23 agosto 2013

Musica Al Cinema parte 2

Dopo la prima parte sui film dedicati a personaggi che hanno fatto la storia della musica ( visibile QUI), andiamo avanti con la carrellata dedicata a trasposizioni cinematografiche della vita di alcuni tra i più grandi musicisti.


LAST DAYS


Nel 2005 a undici anni dalla morte di Kurt Cobain, il regista americano Gus Van Sant va a chiudere la sua trilogia sulla morte ( Gerry ed Elephant i precedenti due ) con la ricostruzione degli ultimi giorni della vita del leader dei Nirvana. Non essendo in possesso dei diritti per la realizzazione di un film ufficiale su Cobain, Van Sant utilizza nomi di fantasia per i suoi personaggi e non inserisce alcuna canzone dei Nirvana nella colonna sonora del film, ma la somiglianza di Michael Pitt con Kurt e l'ambientazione del film, una casa in riva a un lago come quella in cui ha trovato la morte il cantante di Seattle, sono segnali impossibili da non riportare a Cobain.
È un film alienante e monotono, non racconta la storia dell'artista ma solo la visione esterna di una persona ormai abbandonata a se stessa e alle sue manie, e i piani sequenza utilizzati incessantemente a seguire ovunque Pitt non fanno altro che aumentare questo senso di alienazione.
Da sottolineare la prova di Michael Pitt che si immerge totalmente nell'isolamento emotivo di un Cobain ormai arrivato alla fine, e che la fine la troverà per sua stessa mano. Ottima anche la canzone che Pitt ci dona, Death To Birth, che riporta alla mente una qualsiasi delle canzoni dell'Unplugged in New York dei Nirvana.




RINO GAETANO – MA IL CIELO E' SEMPRE PIU' BLU


Passiamo in Italia, il cinema diventa tv, il film diventa fiction. La storia della vita di Rino Gaetano, uno dei più grandi artisti che siano passati per il nostro paese. Il cantautore calabrese morto in un incidente d'auto a Roma il 2 Giugno 1980 a 31 anni è interpretato da Claudio Santamaria, che diciamolo subito è probabilmente l'unica cosa salvabile dell'intera fiction. Lo sforzo compiuto dall'attore nel reinterpretare tutte le canzoni presenti nel film è da apprezzare, ma è totalmente da stroncare tutto il resto dell'opera. Una fiction che non ha fatto altro che creare polemiche prima, durante e dopo la messa in onda, polemiche create direttamente da persone vicine al cantante di Crotone, la sorella Anna in primis. La stessa sorella che aveva collaborato alla realizzazione della fiction, si è completamente dissociata dalla ricostruzione che la stessa offre di Rino. La sorella critica soprattutto come è stato rappresentato il rapporto con il padre, definito da lei ottimo, e il rapporto con l'alcool, senza scordare l'eliminazione nella fiction del personaggio della sorella stessa che fu figura importantissima nella vita di Rino ( è lei la Gianna della canzone). Inoltre fa acqua da tutte le parti anche la ricostruzione storica delle vicende di Rino Gaetano. Con una storia del genere e un personaggio che sono più di trent'anni che viene imitato e omaggiato da tutti i migliori artisti del nostro paese, si poteva e si doveva fare molto di più.



IO NON SONO QUI

Già regista di Velvet Goldmine, quindi già avvezzo a portare la musica al cinema, il regista Todd Haynes porta in scena la vita di Bob Dylan. Anche qui niente diritti per la realizzazione ufficiale di un film sulla vita del menestrello del Minnesota, ma questa volta totalmente approvato dall'artista stesso.
Il regista si cimenta in un particolarissimo modo di raccontare la vita di Bob Dylan. Viene divisa in sei capitoli ben distinti, interpretati ognuno da un attore diverso, e montati tra loro andando a mescolare diversi stili, dal documentario al road movie, fino a tributare il cinema francese. Ovviamente il nome di Bob Dylan non è mai presente nel film e ogni personaggio ha un nome diverso che riporta a diversi momenti della vita del cantante folk.
Marcus Carl Franklin impersona Woody Guhtrie. Guhtrie era un musicista che ha ispirato Bob Dylan all'inizio della sua carriera e il nome viene scelto appositamente per raccontare un giovane Dylan ossessionato dalla musica del Bluesman. Christian Bale interpreta due ruoli, quello di Jack Rollins un cantante folk che è l'immagine del Dylan iniziale nel suo periodo acustico, e il ruolo di John Il Pastore che narra una parte più avanzata della vita del cantante con la sua conversione al cristianesimo. Il compianto Heath Ledger impersona Robbie Clark un attore che interpreta la vita di Jack Rollins e che si sta separando dalla moglie, il periodo raccontato è quello di Blood on the Tracks e dello stesso periodo è il divorzio di Dylan dalla moglie Sara. Richard Gere è Billy the Kid nome perso dall'omonimo film in cui Bob compariva e di cui curò la colonna sonora, è un emarginato fuorilegge ( così si definì lo stesso Dylan al tempo ) appassionato di musica country. Il tutto viene unito da Ben Whitshaw che interpreta Arthur Rimbaud, nome preso dal poeta Rimbaud spesso citato da Dylan come ispirazione per i suoi testi, questa parte è una sorta di intervista in cui Whitshaw risponde con vere risposte date da Bob Dylan durante le interviste in oltre cinquant'anni di carriera.
Ma a emergere dal coro è una meravigliosa Cate Blanchett che impersona Jude Quinn. Il periodo perso in oggetto è il 1965 – 66 gli anni della svolta elettrica di Bob Dylan, la sua scelta più criticata specialmente dai fan della prima ora. L'essere così poco Dylaniana della Blanchett è quello che rende la sua interpretazione ancor più stupefacente.
Un mosaico di immagini, mescolate tra loro a raccontare una delle più grandi carriere nella musica moderna, oltre che uno dei racconti più fedeli all'originale che il cinema ha restituito in ambito musicale. 


mercoledì 21 agosto 2013

Recensione Tetrapharmakon – EP Stregato

Primo EP autoprodotto per la band romana Tetrapharmakon. EP Stregato probabilmente deve il nome alle peripezie che hanno affrontato per registrarlo e che sono raccontate nella loro bio (malattie, occupazioni abusive di box, litigi, computer che esplodono, addii strappalacrime etc.)





Ovviamente cinque soli brani sono pochi per capire le reali potenzialità di una band, ma possono farci capire qual è la strada che hanno deciso di prendere per il loro sviluppo musicale.
Dal punto di vista musicale anche se partono con un'irruenza che ricorda molto il punk (Inganno) man mano i suoni si placano per lasciare più spazio alla melodia con suoni che si avvicinano all'alternative.
Questo EP sono quattro visioni surreali che assomigliano a dei sogni deliranti, riportati però a una quotidianità molto familiare, e un unico piccolo sguardo sul mondo reale, che dalle loro parole sembra non andargli molto a genio(Un Uomo Rispettabile), e anzi racconta il degrado di una certa parte di popolazione che incontriamo in ogni momento della nostra vita.

                   


Naturalmente la strada è ancora lunga e tortuosa, ancora va affrontata la sfida di una pubblicazione sulla lunga distanza, ma quello che abbiamo sentito promette un gran bene e auguriamo ai Tetrapharmakon di proseguire sull'ottimo percorso intrapreso.



Tracklist :
  1. Inganno
  2. Sogno Di Una Notte Di Mezza Morte (Via Tor De' Schiavi)
  3. Un Uomo Rispettabile
  4. Outro
  5. Mania Misogina





venerdì 16 agosto 2013

Musica al Cinema

Il legame tra cinema e musica è sempre stato molto forte, quasi indissolubile. Ovviamente il cinema è sempre alla ricerca di storie da raccontare e trova terreno molto fertile nella storia della musica moderna, che ci ha regalato alcuni personaggi incredibili, di cui vale la pena raccontare la storia. Partiamo con tre tra i più famosi film che hanno portato sugli schermi la vita di cantanti e band, ma proseguiremo anche con film meno conosciuti ma non per questo meno belli.

The Doors

A vent'anni dalla morte di Jim Morrison, il regista Oliver Stone decide di far rivivere il mito in una trasposizione cinematografica della sua vita. Forte di un budget di 30 milioni di dollari e della consulenza di tutti e tre i componenti vivi e della storica fidanzata di Morrison, il regista prova un'impresa ardua, portare sullo schermo la grandezza e la complessità di un personaggio come il Re Lucertola. La scelta di Val Kilmer per interpretare Morrison (la somiglianza è incredibile) è delle più azzeccate e l'attore ripaga con una prova convincente, così come le prove di tutti gli altri attori tra cui Meg Ryan nel ruolo di Pam.

Quello che non convince appieno è la scelta di Stone di come raccontare la storia di uno dei gruppi più importanti della storia della musica. Il regista si concentra totalmente sulla figura di Jim Morrison, tralasciando completamente il resto del gruppo, se non a un ruolo marginale. E anche concentrandosi sul cantante, non è che Morrison ne esca così bene, visto che Stone preferisce concentrarsi sul lato pubblico del cantante, facendolo passare per un semidio alcolizzato che pensava solamente alla morte, lasciando da parte completamente il lato artistico di Morrison, quello del poeta che ha completamente rivoluzionato la storia del Rock. Non è un caso che gli stessi componenti dei Doors si siano dissociati completamente dalla ricostruzione che Stone ha fatto della loro storia.  




Walk The Line

Nel 2005, a due soli anni dalla morte dei protagonisti, il regista James Mangold (Cop Land, Ragazze Interrotte) decide di portare in scena una parte della vita del cantante Country Johnny Cash. Prendendo a prestito il titolo di uno dei più grandi successi del cantante (tradotto miseramente in italiano in : Quando L'Amore Brucia L'Anima) il regista ripercorre la parte iniziale della carriera di Cash, dai primi successi alla discesa fino al ritorno a galla del 1968.

Dal punto di vista storico la storia è abbastanza fedele alla realtà, apparte tutto quello che riguarda la storia con June Carter, che per ovvie questioni cinematografiche è molto romanzata. La parte migliore del film sono sicuramente le interpretazioni dei due protagonisti, i pluripremiati Reese Winterspoon e Joaquin Phoenix. Phoenix è meraviglioso nel riportare sullo schermo tutte le insicurezze e i drammi interiori di Cash in una prova attoriale memorabile. La loro prova è ancora più da sottolineare se si pensa che hanno reinterpretato completamente tutte le canzoni presenti nel film, che non risentono minimamente del cambio di interpreti.  


Control


Anton Corbijn è stato un grandissimo fotografo prima, e un ottimo regista di videoclip poi. Sempre legato a doppio filo con la musica, ha scelto come opera prima di portare sullo schermo la storia di Ian Curtis, cantante e fondatore dei Joy Division. La scelta è legata proprio al legame tra il fotografo olandese e la band inglese, protagonisti sia di servizi fotografici da parte di Corbijn sia in seguito come New Order di videoclip girati sempre da lui. Basandosi sul romanzo autobigrafico "Touching From a Distance" scritto dalla vedova di Curtis, Corbijn racconta l'ascesa al successo della band post-punk, successo che Curtis non godrà mai a causa della sua prematura scomparsa.

La scelta del regista del bianco e nero è ottima per avvicinare lo spettatore ai toni della musica dei Joy Division. Il film è concentrato unicamente sulla figura di Curtis, ruolo in cui l'attore Sam Riley si cala profondamente, andando a ricreare alla perfezione il personaggio, anche nei piccoli dettagli o nelle scene più dure. È un film in cui si nota una grande delicatezza nel raccontarlo, quasi a fare da contraltare alla musica della band inglese. Anche le scene in cui si mette in risalto la malattia di Curtis (epilessia) o la sua morte, sono trattate con i guanti da parte del regista, comportamento probabilmente dovuto anche all'amicizia che lo legava con il cantante. A mio avviso uno dei migliori film sulla musica mai realizzati.  

martedì 13 agosto 2013

Johnny Cash - The Man In Black


Non si dovrebbe mai cominciare a raccontare una storia dalla metà della stessa. Normalmente si parte dall'inizio, in alcuni casi dalla fine, ma è complicato partire dalla metà. Ma in certi casi è possibile se come in questa situazione oltre alla nascita dell'artista, abbiamo anche la Rinascita dello stesso.
Gennaio 1968, California, Carcere di Folsom. Johnny Cash accompagnato dai suoi fedeli Tennessee Three, la futura moglie June Carter e Carl Perkins si esibiscono davanti a un pubblico di carcerati, perlopiù ergastolani, in un concerto voluto fortemente dallo stesso Cash. Quello era il suo pubblico, quelli per cui lui aveva sempre scritto, a partire dal primo singolo Cry Cry Cry. È la svolta nella carriera di Johnny, dopo anni di peripezie tornava a fare musica e tornava dove e come voleva farlo lui.


Ma per esserci una risalita, deve esserci stata anche una discesa. E per scendere devi prima essere arrivato in cima. Johnny in cima ci era arrivato anche abbastanza agevolmente. L'inizio di carriera era stato fantastico, i primi pezzi non avevano impiegato molto a entrare subito nel gradimento del pubblico. Con questo stile a tratti Country, a volte Gospel e con dei richiami al Blues, J.R. non aveva faticato a imporsi nell'ingarbugliato circuito musicale dell'epoca.
Una giovinezza difficile, segnata indelebilmente dalla morte del fratello in una segheria, con il padre che lo accusava di questa scomparsa, la scelta di arruolarsi in aeronautica che lo porterà a vivere per quattro anni in Germania, è proprio in questi anni che si forma il Cash artista. Perché lo stare in Europa lo porta a girarlo il Vecchio Continente, e a confrontarsi con culture e stili differenti. E al suo ritorno dopo il congedo l'unica cosa che vuole veramente è fare musica. Ma la vita si sa non va subito dove vorresti, e così il giovane Johnny di ritorno in America lo trova ad aspettarlo quella Vivian Liberto che aveva conosciuto prima di arruolarsi e a cui si era promesso sposo. Così con il matrimonio e la prima figlia, più che alla musica Cash è costretto a pensare al sostentamento della famiglia.
Siamo nel 1954 e J.R. per sbancare il lunario trova lavoro come venditore porta a porta, ma come si diceva è la musica l'unica cosa che vuole. In questi anni conosce Marshall Grant (contrabbasso) e Luther Perkins(chitarra), con cui inizia a suonare vecchi Gospel e i primi materiali da lui composti.
La gestazione non è neanche così lunga visto che nel 1955 si propone alla Sun Records (la stessa casa discografica di Elvis), che entusiasta del materiale ascoltato fa incidere a Johnny and The Tennessee Two il primo singolo. E il successo non tarda ad arrivare. Cry Cry Cry, Hey!Porter sono i primi segnali di un'ascesa che non si fermerà presto. Ma è con Folsom Prison Blues che entra di diritto tra i grandi dell'epoca.
Siamo nel 1956 e ormai sono due anni che la stella di Cash ha cominciato a brillare, e ovviamente cominciano anche ad arrivare i problemi. All'epoca tutti gli artisti di un certo nome erano costretti a estenuanti tour in giro per gli States, a volte senza tornare a casa per mesi. Insieme a Cash la stessa vita era sostenuta da Elvis, Jerry Lee Lewis, Carl Perkins e tanti altri. Per Johnny iniziarono i problemi con la moglie Vivian che lo accusava di non essere mai a casa e dubitava della sua fedeltà viste le ragazzine che giravano sempre intorno al marito (Cash rispose alla moglie con I Walk The Line), e sommati ai mesi interi in tournée, una personalità fragile come quella di J.R. trovò la soluzione più facile nelle anfetamine.
Ma il 1956 è anche l'anno in cui fa la conoscenza con June Carter, una figura di primaria importanza nella carriera di Johnny.
Trasferitosi in California a seguito di un contratto milionario con la Columbia, Johnny sfornava album con una velocità impressionante, mantenendo spesso una qualità altissima, ma con il passare degli anni i suoi testi e la sua musica erano sempre più influenzati dai suoi problemi e dalle sue dipendenze. È in questo periodo che nasce anche il nome di MAN IN BLACK, per questa sua abitudine di vestirsi sempre in nero.
Nel 1961 arriva il primo arresto per ubriachezza molesta, un altro più pesante arriva nel 1965 a El Paso per aver introdotto droga negli USA e averla nascosta in una chitarra. È del Giugno 1966 la richiesta di divorzio da parte della moglie Vivian ed è del Novembre 1967 l'ennesimo arresto per possesso di stupefacenti.
Intanto dal 1962 Johnny aveva avviato una collaborazione artistica con June Carter. E fin da subito si inizia a spargere la voce di una relazione tra i due. Voce che i due prontamente smentivano, essendo entrambi sposati e con prole al seguito. Ma tra i due la passione esplode e non si tratta solo di un capriccio da star di Johnny, June è l'unica persona in grado di tenerlo legato alla realtà, l'unica che sa come trattarlo e come stargli affianco in ogni momento. Ed è sempre lei la sola che riesce a farlo smettere una volta per tutte con le droghe.
Siamo nel Gennaio del 1968, il 3 per l'esattezza che il divorzio con Vivian è ufficiale. E Johnny sembra finalmente pulito. È così che si presenta il 13 Gennaio sul palco nella prigione di Folsom per registrare un disco live. Introdotto da un laconico “Hello, I'm Johnny Cash” parte una cavalcata all'interno di quelle sbarre che legano i prigionieri di quel carcere, ma legavano anche lo stesso Cash. Il risultato di quel concerto sarà uno dei dischi dal vivo più belli di sempre, che ridà a Johnny tutto quello che aveva perso negli anni. La rinascita è quasi conclusa. Ma non è una rinascita artistica, perché l'artista non si era mai fermato, è una rinascita soprattutto umana. Una rinascita che si conclude il 22 Febbraio sul palco di London in Canada, quando chiede a June di diventare sua moglie, e ovviamente lei accetta. Da quel momento non si lasceranno mai più.



Una ritrovata serenità porta Johnny a rilanciarsi alla grande anche dal punto di vista musicale. Replica il successo del Live At Folsom Prison con un altro live in un carcere, questa volta a San Quentin. E per i successivi dieci anni sarà un successo dopo l'altro a segnare la sua carriera. Dischi meravigliosi accompagnati da uno show televisivo, “The Johnny Cash Show”, con affianco sempre l'amata June. Trova anche il tempo per collaborare con altri artisti (Bob Dylan su tutti) e per formare un supergruppo country, gli Highwaymen (Cash, Willie Nelson, Waylon Jennings e Kris Kristofferson).
Poi però arrivarono gli anni '80. Johnny era sulla cresta dell'onda ormai da quasi trent'anni. I gusti musicali cambiarono e a farne le spese fu Cash più degli altri. E gradualmente l'attività di Johnny va scemando fino a quasi sparire dalla circolazione. Ovviamente continuava ad esibirsi e a registrare dischi, ma non aveva più il gradimento di una volta. Sembra essere una cosa naturale dopo tanti anni sulla breccia non avere più l'ispirazione di una volta.
Ma per chi è già rinato come uomo, non risulta difficile rinascere anche come artista. E così arriva l'8 Febbraio del 1993. Johnny come al solito è in tournée e questa volta fa tappa in Irlanda, a Dublino per l'esattezza. A fine concerto viene avvicinato da un cantante irlandese, tale Bono che lo invita a registrare con il suo gruppo un brano per il nuovo disco Zooropa. Il disco sarà uno dei più grandi successi della band di Dublino e l'ultima traccia The Preacher con la voce di Johnny Cash diviene un cult assoluto. Tornato negli USA viene contattato dal produttore Rick Rubin che gli propone la registrazione di un disco, solo voce e chitarra. E così nasce nel salotto della casa di Rick Rubin un connubio tra un cantante Country e un produttore dedito più che altro all'Hard Rock. Da queste registrazioni nascono gli ultimi dischi di Cash che racchiudono vecchi successi suoi, classici e cover anche inaspettate. La scelta delle cover poteva essere folle se pensiamo che sono state proposte canzoni come One (U2), Redemption Song (Bob Marley), Hurt (Nine Inch Nails) e tante altre. Una serie di successi uno dopo l'altro che portano anche il pubblico più giovane a riscoprire un'artista meraviglioso come il Man In Black.

Purtroppo però anche le più belle storie hanno una fine e la nostra si conclude nel 2003. Il 15 Maggio muore June. Johnny e June erano stati per quarant'anni una cosa sola, un pensiero unico. E di conseguenza Johnny non poteva fare altro che seguirla. Resiste neanche tre mesi prima di raggiungerla. Ma fortunatamente ci hanno lasciato entrambi un'eredità immensa, non solo a livello musicale, ma anche umano, dimostrando che l'amore probabilmente è più forte di tutto. 


domenica 11 agosto 2013

La Fenice Aerosmith

Come la Fenice che rinasceva dalle proprie ceneri. Così si potrebbe sintetizzare la carriera degli Aerosmith, dati per morti più e più volte, e sempre ritornati sulla cresta dell'onda.
Tyler, Perry, Hamilton, Kramer e Whitford una formazione da citare a memoria come quelle delle storiche squadre di calcio. Perché dal lontano 1969 a oggi, se si esclude il periodo 1979-84, sono rimasti sempre loro a calcare il palco sotto quel logo. E già questa è una stranezza nel mondo del rock perché difficilmente si riesce a tenere in piedi la stessa formazione per più di quarant'anni.


Da quel 1969 con il primo concerto in un liceo di Hopkinton nel Massachusetts di acqua ne è passata sotto i ponti, così come da quei primi due dischi che si sono filati veramente in pochi (Aerosmith del 1973 e Get Your Wings del 1974) ma che già contenevano alcune delle pagine migliori della band (Dream On, Same Old Song and Dance, Train Kept A-Rollin'). Si iniziò a notare subito il talento compositivo di quella coppia voce-chitarra che molto darà negli anni a venire.
Anche in questo caso è difatti una coppia a mandare avanti il gruppo, come da tradizione del rock (Plant/Page, Jagger/Richards, Lennon/McCartney, ecc), e a far parlare di se. Per Steven Tyler e Joe Perry insieme al successo (Toys in The Attics 1975) arriva anche il soprannome che li accompagnerà per tutta la carriera. “Toxic Twins” è quello scelto per i due di Boston. E probabilmente mai soprannome fu più azzeccato, visto che loro stessi sono arrivati a dichiarare di aver speso nella loro carriera una cifra vicina ai 20 milioni di dollari in stupefacenti (cifra poi abbassata a 6 in un'altra intervista). Fatto sta che non si sono fatti mancare nulla nella loro carriera, come detto droga, sesso, donne, figli (anche se scoperti dopo decenni).
Ma il successo bisogna saperlo mantenere e cavalcare, e loro lo sanno fare alla grande. Nel 1976 esce Rocks uno degli album più celebri dell'Hard Rock, un disco che ha ispirato numerose band dopo di loro (Gun's & Roses e Metallica su tutti), seguito a ruota da Draw The Line e Night in The Ruts. Come se non bastasse sono anche una delle band più attive dal vivo, arrivando a suonare in tour che durano per anni e che toccano ogni parte del pianeta.


Ma come in ogni famiglia che si rispetti ci sono anche i problemi interni. Problemi legati soprattutto alle dipendenze dei due principali attori. Gli stessi due che finiranno per discutere e il risultato sarà l'abbandono della band da parte di Joe Perry. Siamo nel 1979 e due anni dopo si allontanerà dal gruppo anche l'altro chitarrista Brad Whitford.
Con due nuovi chitarristi ecco arrivare nel 1982 Rock in A Hard Place disco stroncato sia dalla critica che dal pubblico, sono i primi presagi di un periodo nero per la band di Boston. Oltretutto i continui eccessi di Steven Tyler lo portano a collassare sul palco durante un concerto a Portland.
Con due delle colonne portanti fuori dal gruppo, il cantante sempre più dipendente da qualsiasi droga, un disco pessimo e con un lustro con più fallimenti che successi, il nome Aerosmith è trattato da tutti come quello di un gruppo ormai finito.
Ma come dicevamo all'inizio gli Aerosmith sono associabili alla Fenice mitologica. Ed eccoli risorgere dalle loro ceneri. Sono due gli elementi fondamentali per questa ripresa. Nel 1984 Perry e Whitford rientrano nel gruppo (anche a seguito di progetti solisti non proprio esaltanti) ma soprattutto nel 1986 il gruppo Hip-Hop Run DMC propone uno dei primi esempi di crossover tra Rock e Rap. La canzone scelta è Walk This Way, uno dei più grandi successi degli Aerosmith, e il successo è planetario. Il nome degli Aerosmith torna sulla bocca di tutti, e la partecipazione al video di Tyler e Perry non fa altro che aumentare l'hype intorno alla band di Boston.
Come già detto gli Aerosmith sono bravissimi a cavalcare il loro successo e anche questa volta si presentano al pubblico con una serie di dischi che sanciranno per sempre la gloria della band. Permanent Vacation, Pump, Get a Grip e Nine Lives. Quattro dischi in dieci anni, di nuovo tour planetari che li portano su e giù per il pianeta e un successo che non accenna a diminuire. Ma il sound della band è cambiato. Si sono probabilmente adeguati agli anni '80 andando a virare molto più sul Pop Rock lasciando progressivamente da parte l'Hard. Di questi anni è anche la collaborazione con Desmond Child (storico autore di Bon Jovi e altri) che porta la band sempre più in vetta alle classifiche con pezzi più orecchiabili, ma che mantengono uno standard elevatissimo rispetto ad altre band.
In tutto questo riescono a raggiungere anche per la prima volta il n° 1 in classifica con un singolo. I Don't Want To Miss A Thing dalla colonna sonora di Armageddon li fa entrare per sempre nelle orecchie di tutto il mondo. È uno dei pezzi più contestati dai fan di prima data ma li porta a un successo che mai avevano raggiunto prima.


Ormai gli Aerosmith continuano a vivere nella loro grandezza. Sono diventati a tutti gli effetti un'icona pop del nostro tempo. Sono tornati con un disco in studio nel 2012 dopo otto anni di silenzio solamente discografico. Perché gli Aerosmith continuano a far parlare di loro sempre e comunque. Vuoi per una caduta dal palco di Steven Tyler, vuoi per le minacce più o meno reali dello stesso Tyler di abbandonare il gruppo, vuoi perché sono protagonisti di un videogioco tutto loro.

Quello che a noi interessa di più ovviamente il lato musicale della faccenda. E fidatevi che vederli ancora tutti e cinque assieme su un palco a dare spettacolo per tre ore è una delle gioie che consiglio a tutti di provare.



martedì 6 agosto 2013

Recensione Nhenia - Contatto

Album di debutto per il trio romano, dopo l'EP di debutto del 2011 “Orbite EP”, arriva il primo lavoro sulla lunga distanza per i tre ragazzi romani, già conosciuti nell'ambiente underground della capitale.


Leggendo la Bio sul sito loro sito, la band dichiara di aver cominciato con le cover dei Nirvana, e la cosa si nota sin dal primo accordo di questo disco. L'influenza del Grunge è totale, infatti non è strano durante l'ascolto che la mente vada a ricordare gli stessi Nirvana, ma anche i nostrani Verdena e i primissimi Marlene Kuntz. Ma fortunatamente il gruppo non si ferma solamente al Grunge ma cerca anche altro dalla propria musica, tant'è che mentre si ascolta il disco, è facile ritrovarsi in richiami al Metal e allo Stoner, con un tocco di Nine Inch Nails (altra fonte d'ispirazione della band) che non guasta.



Ascoltando il disco e leggendo il pensiero del gruppo in alcune interviste risulta subito chiara una cosa. Le idee della band sono molto chiare fin dal principio. Avevano in mente già da prima come avrebbe dovuto suonare questo album. Già l'idea di partenza di registrare le parti di batteria rende chiaro come avessero in mente quel tipo di suono.
Essendo un disco che nasce con i Nirvana davanti a tutto, non può che essere un intenso grido di rabbia e rassegnazione, quella che i tre romani vogliono esprimere. Tutto il disco è segnato da un urlo quasi atavico (Dallo Stomaco) che nasce dall'interno del gruppo, per liberarsi in tutta la sua potenza per tutta la durata dell'album (Distruggi e Orbite le più potenti). L'unica critica che è possibile muovere riguarda il cantato del disco. È vero che essendo un urlo rabbioso tutto il disco è giusto che venga espresso allo stesso modo dal cantante, ma piacerebbe sentirlo anche su altre linee vocali, visto che su queste si trova a meraviglia.


Un egregio esordio per la band romana, che dimostra di saperci fare veramente e di avere le idee molto chiare su quale sia la loro strada. Sperando che la via tracciata da questo disco li porti in futuro a ulteriori successi non ci rimane che altro materiale di questo livello.



TRACKLIST:

1. Dallo Stomaco

2. Acrilica

3. Sei stato Nominato
4. Imbalsamati
5. Cytherea
6. Come Donne in Carriera
7. Maiali
8. Favola dell’Ascesi
9. Orbite
10. Distruggi
11. Argilla
12. Contatto