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mercoledì 19 febbraio 2014

Recensione Beck - Morning Phase


Questo inizio di 2014 ci regala il ritorno di Beck. Non che se ne fosse mai andato, visto che in questi sei anni passati dall'ultimo lavoro in studio Modern Guilt il cantautore californiano si è dedicato a tutto quello che si possa fare in ambito musicale, tra produzioni, collaborazioni, pubblicazione sporadica di singoli e addirittura la pubblicazione di venti brani su libro sotto forma di spartiti.




Il nome Beck può essere accostato senza timore alla parola sperimentazione. Provare, tentare, cercare nuove vie non ha mai spaventato l'artista californiano. Ma dopo sei anni di esperimenti era anche ora di dare un seguito all'ultimo lavoro di inediti, ma anche in questo caso Beck ci vuole stupire. E invece di proseguire con la strada intrapresa nell'ultimo lavoro Modern Guilt lui si guarda alle spalle e riprende dove aveva lasciato nel 2002 con Sea Change. Richiama a raccolta praticamente tutti i musicisti che lo supportavano all'epoca e ci regala tredici nuovi brani che sono il naturale proseguimento di un periodo interrotto da circa un decennio.





Se si chiudono gli occhi mentre si ascolta Modern Phase sembra quasi di ascoltare un disco di Crosby, Stills And Nash o dei Byrds, un folk rock che riporta agli anni '60 e '70, con qualche richiamo Beatlesiano qua e là. Ma il maniacale perfezionismo produttivo che ha sempre contraddistinto Beck permette che questi suoni non suonino come vecchi o datati, ma anzi li troviamo ancora molto attuali. E se continuiamo a tenere gli occhi chiusi ci sembra di ascoltare proprio Beck, ma catapultato indietro di tanti anni.

Tra ballate folk e richiami al passato Beck ci porta nel suo mondo, offrendo un triste disincanto ci lascia sospesi senza sapere cosa aspettarci dal futuro.





Una critica che inizialmente può essere mossa a Morning Phase è che dai primi ascolti può suonare piatto e monocorde, senza veri e propri picchi, ma continuandolo ad ascoltare ci si rende conto che forse è proprio quello l'obiettivo di Beck, che non propone il suo disco più innovativo, ma di certo uno dei più sentiti e privati che abbia mai composto.  

venerdì 14 febbraio 2014

Recensione Nobraino - L'Ultimo Dei Nobraino


Quinto album per i romagnoli Nobraino, che segue di due anni Disco D'Oro del 2012. Per la band di Riccione si tratta del primo lavoro con una major, la Warner, e che è stato anticipato dal primo singolo Bigamionista.




Quando le band considerate importanti nel circuito indipendente fanno il grande passo e firmano con un major, i dubbi sui lavori successivi iniziano a nascere. Non sono pochi gli esempi di gruppi che dopo esser passati con un'etichetta importante sono stati accusati di commercializzazione. E qualche dubbio era venuto anche sui Nobraino. Ma bastano i primi due versi di questo nuovo lavoro per capire che i dubbi erano infondati ( “Guardo due cani che si inculano/penso che quello dietro specula” ). I Nobraino non abbandonano il loro stile inconfondibile, fatto di una miscela di generi che ha sempre reso impossibile categorizzarli. Il tutto condito dalla capacità da istrione del frontman Lorenzo Kruger, che è senza dubbio la marcia in più di questa band.






Questo quinto lavoro della band romagnola presenta la solita formula che finora ha fatto la loro fortuna, un mix di generi che si mescolano anche all'interno dello stesso brano, il tutto condito da testi mai banali che raccontano storie di tutti i giorni rese in maniera surreale e ironica. Ma il fatto che spesso i loro brani facciano sorridere non è assolutamente segno di superficialità. Anzi vanno a toccare argomenti e vizi che fanno parte della nostra vita quotidiana. Si parla di tradimenti e perversioni sessuali ( Jacques Pèrvert ), si parla del fatto che siamo tutti drogati di qualcosa ( Endorfine ) e come detto ci sono storie che sfiorano il surreale ( Il Semaforo, Via Zamboni ) e divertissement allo stato puro ( Bigamionista ). Personalmente porrei l'accento su quella che rischia di essere una perla per gli anni a venire della band. Michè è la rivisitazione della famosa ballata di De André, in cui la band di Kruger prendendo "in prestito" la musica racconta la storia del suicida per amore facendola raccontare a un altro detenuto, smontando l'ipotesi del suicidio. 
 


Questo inizio di 2014 ci ha regalato diversi ottimi lavori di artisti italiani ( Zen Circus, Dente, Brunori ) che raccontano di una scena musicale italiana in fermento. L'Ultimo Dei Nobraino si ritaglia una posizione d'onore in questo scenario, con un disco che conferma il valore della band e fuga tutti i dubbi riguardo la possibile commercializzazione. Un disco che come del resto tutto il materiale della band, renderà ancora di più dal vivo dove la band romagnola concede tutta se stessa.


martedì 11 febbraio 2014

Recensione Eugenio Finardi - Fibrillante

Torna Eugenio Finardi dopo sedici anni dall'ultimo album di inediti, ritorna con questo Fibrillante, che lo vede impegnato con dieci nuovi brani con la collaborazione di diversi artisti importanti nostrani, come Manuel Agnelli degli Afterhours, i Perturbazione, Vittorio Cosma della PFM e Patrizio Fariselli degli Area, ma soprattutto vede come produttore Max Casacci dei Subsonica. 

C'era un periodo nella nostra storia in cui l'invettiva contro i mali della società era in mano ai cantautori. Un periodo che oggi sta venendo meno visto che i nuovi cantautori cercano altre forme d'ispirazione. Ma Finardi è uno della vecchia scuola e come tale mantiene una sua coerenza, parlando dei problemi della società moderna, dalla crisi ( Me Ne Vado ) alla disoccupazione ( Cadere Sognare ), a storie di uomini in difficoltà ( La Storia Di Franco ) fino a un urlo di indignazione vera e propria ( Come Savonarola ).

“Urlo alla Luna e al Sole/le mie inutili parole/che nessuno sta a ascoltare/e allora ho voglia di bruciare/gridando a squarciagola/come Savonarola” 

Sono i versi che in Come Savonarola Finardi usa per far capire tutto quello che vuol rappresentare questo album. Un ritorno al passato in cui il cantautore si prende la briga di farsi portavoce di una generazione, che però in questo periodo storico è un po' la voce di tutti gli italiani.

Ma come detto da lo stesso Finardi in fase di presentazione del disco, questo è un disco che ha due anime, una maschile che è quella che grida il suo dissenso nei confronti del mondo in cui viviamo, e l'altra è femminile molto più romantica e delicata. Difatti anche le canzoni più intime e private non abbassino di nulla il livello del disco, anzi dimostrano ancora una volta le abilità di Finardi nel comporre in modo molto vario. Lei S'Illumina è la storia di due coniugi anziani dedicata alla moglie, mentre Le Donne Piangono In Macchina pone l'accento sul lato molto più emotivo e delicato del sesso femminile.
Se lo stile della composizione di Finardi non è molto variato rispetto a quello di trent'anni fa, una nota di merito va data a Max Casacci, che grazie alla sua militanza nei Subsonica, riesce a dare un tocco elettronico al disco, quasi impercettibile, che però gli dà quel tocco di modernità per renderlo fruibile anche in questo nuovo millennio.


Come detto in passato un cantautore se non ha nulla da dire è meglio se non pubblica nulla. Finardi ha aspettato sedici anni per tornare a dire qualcosa e lo fa in modo perfetto, bilanciando ottimamente ragione e sentimento, con un disco che risulta da subito come una delle cose migliori offerte da questo inizio di 2014.

venerdì 7 febbraio 2014

Recensione Genesis - Selling England By The Pound



Ci sono dischi che possono essere definiti magici. Perché riescono a racchiudere dentro di loro un periodo per l'appunto magico. E tutti i pezzi si incastrano alla perfezione l'uno con
l'altro. È in un momento come questo che i Genesis hanno dato vita al loro più grande capolavoro. Selling England By The Pound è il sunto di un inizio di carriera, partita a rilento, ma esplosa in poco tempo, di cui però di lì a poco si avrà la fine.
Che la band fosse cresciuta si era capito già con i due dischi precendenti, Nursery Crime e Foxtrot che evavano già regalato due perle meravigliose come The Musical Box e Supper's Ready. Ma lo stato di forma di cinque magnifici musicisti, unita a un'ispirazione che in futuro non avrebbe avuto quasi più uguali, se non per Gabriel e Hackett, creano una miscela incantevole fatta di strumenti che si mescolano tra loro in un'armonia perfetta, e che vanno a suggellare per sempre un genere, il prog, che li annovererà per sempre tra i più grandi interpreti.
Ma in tutta questa grandezza si iniziano anche a vedere i primi segni di cedimento interno, che porteranno alla perdita di Gabriel due anni dopo, con quella More Fool Me che Gabriel detestava ma che venne incisa lo stesso con la voce di Phil Collins, sempre meno voglioso di stare alla batteria ma sempre più interessato al ruolo primario di frontman. Questo disco ci porta però in dono alcuni dei brani più importanti della carriera della band britannica, Dancing With The Moonlight Knight è un apertura perfetta che ci introduce in un mondo incantato fatto di storie e musiche epiche che troveranno il loro sfogo in quello che è l'assoluto capolavoro dei Genesis, Firth Of Fifth che nel suo intro di piano e negli assoli di Gabriel, Banks e Hackett racchiude in nove minuti tutto lo spirito del prog per come lo intendevano loro. 
 

Un album che entra di diritto nella storia non solo della musica Prog, ma della musica in generale. Una delle pietre miliari di un periodo forse irripetibile, che insieme ai dischi dei King Crimson e degli Yes hanno variato per sempre la concezione del rock nella sua forma.

martedì 4 febbraio 2014

Recensione Brunori Sas - Il Cammino Di Santiago In Taxi


Terzo album in studio per il cantautore calabrese Dario Brunori, meglio conosciuto come Brunori Sas. Il cantante cosentino torna alle stampe dopo Vol.2 - Poveri Cristi con questo nuovo lavoro, Vol. 3 – Il Cammino Di Santiago In Taxi. In questi tre anni si è anche disimpegnato con la colonna sonora del film è Nata Una Star? .

La nuova ondata di musica indipendente italiana ( se indipendente la si vuol chiamare ) è composta principalmente da due filoni portanti. C'è chi seguendo i richiami esterofili si cimenta con generi che erano poco usati in Italia, e altri che invece tentano di tenere in vita il nostro tanto caro cantautorato. Brunori fa parte di questa seconda via. E dopo due acclamati lavori arriva il nuovo disco che è una sorta di prova del nove per il cantautore cosentino.

Questo terzo volume della saga di Brunori è la naturale evoluzione dei due precedenti lavori. Se nel primo disco si parlava di un passato che forse non c'è più, mentre nel secondo lo sguardo volgeva verso il mondo esterno, con le storie di Poveri Cristi che ci sono intorno sempre, in questo nuovo lavoro Brunori si guarda dentro, molto più intimamente rispetto al passato. E l'evoluzione c'è anche dal punto di vista musicale, visto che in questo disco c'è una cura per il lato strumentale molto più marcata.


Uno dei tratti più marcati di questo revival del cantautorato italiano che stiamo vivendo negli ultimi anni è uno spiccato citazionismo, da cui Brunori non si tira indietro. In questo disco è evidente la traccia lasciata dai vari Dalla, Endrigo, De Gregori, il tutto condito da un'ironia tipica del cantante calabrese. Anche il suo stile resta sempre quello retrò, che guarda con piacere ai grandi del passato, il tutto condito da un'anima nazional popolare che gli permette di citare nelle sue canzoni addirittura il Pulcino Pio e riesce a mettere in bocca i Doors a Giovanna D'Arco ( Il Santo Morto ) o fa ballare Che Guevara e Pinochet sulla musica di Beyonce ( Mambo Reazionario ) con un gusto per il non sense che ricorda tanto il conterraneo Rino Gaetano. Ma come detto il disco è molto più intimo rispetto ai precedenti, già dal titolo visto che il Cammino di Santiago può essere una inteso come una riscoperta di se stesso, infatti abbiamo brani molto più personali in cui scava dentro se stesso ( Arrivederci Tristezza, Maddalena e Madonna, La Vigilia Di Natale, Sol Come Sono Sol ).

La nuova fatica discografica di Brunori Sas potrebbe risultare molto meno immediata rispetto ai precedenti lavori, ma non per questo di minore qualità. Come detto per il disco di Dente uscito pochi giorni fa abbiamo di fronte la prova che la musica italiana sta vivendo un periodo di grande vitalità, e il disco di Brunori è l'ennesima dimostrazione.

domenica 2 febbraio 2014

Recensione New Disorder - Dissociety


Dissociety è il primo lavoro sulla lunga distanza per i New Disorder, band metal romana nata nel 2009 e con all'attivo già due EP che hanno riscosso un buon successo di pubblico e critica.


Negli ultimi anni il mondo del Metal ha vissuto di contaminazioni. Possiamo far partire questo periodo principalmente dalla nascita del Nu-Metal, anche in precedenza in tanti avevano provato a mescolare il metal con altri generi. E i New Disorder è qui che si attestano. Si piazzano in mezzo a un mare di suoni e idee. Tra riff pesanti, accenni growl, aperture melodiche e qualche richiamo di anni '80, il tutto condito da una produzione praticamente perfetta, che forse fa perdere un po' di impatto ai brani ma che fa risaltare le doti tecniche dei cinque musicisti romani.
Ed è proprio questa gran varietà di richiami che rende difficoltosa la categorizzazione della band, e forse è proprio il miglior pregio del disco. Questo variare anche all'interno dello stesso brano può rappresentare la vera forza della band, che non si sente costretta a seguire per forza i canoni di un solo genere, ma si lascia trasportare da dove li porta l'istinto.

 

Sicuramente un disco di ottima fattura che può fare da trampolino di lancio definitivo per una band che si dimostra piena di idee e molto dotata tecnicamente. Un disco di ottima fattura che non può che far presagire un bellissimo futuro ai New Disorder.