Recensione Appino - Grande Raccordo Animale

Il
Circo Zen si è fermato di nuovo e dopo vario girovagare tra New York
e il Nord Africa, Appino
ci
offre il suo secondo lavoro da solista. Partiamo da un assunto. Se vi
aspettate un lavoro alla Zen Circus o sugli standard de Il
Testamento,
non lo troverete. Perché nel frattempo Appino
è cambiato, o forse ancor più semplicemente è
cresciuto e maturato. Non c'è la violenza emotiva che spingeva il
primo lavoro, ci sono solo alcuni tratti delle storie che racconta con gli
Zen, c'è forse un'apertura a un mondo finora sconosciuto, o forse
solamente ignorato. Appino
ci
guarda, e si guarda, e racconta quello che vede. Un mondo pieno di
persone confinate in un Grande Raccordo Animale,
costretti a girare per l'eternità senza che da questa autostrada ci
dia un'uscita. Costretti a girare nelle proprie vite misere e molto spesso poco
interessanti.
E
il cambiamento si nota anche dal punto di vista musicale, che
abbandona quasi totalmente “l'indie” per come lo si vuole
intendere, per provare e sperimentare come mai il cantante pisano ha
provato a fare nella sua carriera. Si passa dalla produzione di
Giulio Ragno Favero nelle mani di Paolo Baldini (ex Africa Unite) e
già dalla prima traccia ( Ulisse)
spunta un ritmo in levare ad accompagnare l'ideale viaggio che si sta
per affrontare, ma come canta Appino, “Itaca
non c'è”.
Ma è con la titletrack che ci scontriamo per la prima volta con le
novità. Grande
Raccordo Animale è
pervasa di un ritmo mediterraneo, per certi versi un pezzo pop nel
senso però più alto del termine. Se New
York
rispolvera le chitarre che ci hanno accompagnato in tutti i suoi
lavori precedenti, La
volpe e l'elefante
si presenta come il pezzo più inaspettato del lotto, con il suo mix
di elettronica, musica etnica e rock. Un pezzo che può bastare da
solo a rappresentare tutto l'album, con la sua voglia di staccarsi
dal passato.
L'anima
però ti resta attaccata addosso anche se provi a rinnegarla, e
Rockstar e
NabucoDonosor
fanno riemergere in parte quelle ballate amare che avevano fatto la
fortuna de Il
Testamento. E
la finale Tropico
Del Cancro,
che con “Quattro
accordi messi in croce”
ci racconta con toni amari e soprattutto disincantati la vita
dell'artista costretto sempre ad essere all'altezza della situazione.
Un pezzo di stampo Gucciniano che si erge fin da subito a instant
classic della discografia di Appino.
Provare
a cambiare per cercare qualcosa di migliore. O più semplicemente per
aprirsi a un mondo nuovo, un mondo per te inesplorato, ma senza per
questo cambiare di nulla quello che sei. Cercando di arrivare a più
gente possibile, perché in fondo nessuno fa musica per tenerla per
se stesso. Appino
rischia
e regala un disco difficile. Un disco che al primo ascolto fa
storcere la bocca ai fan duri e puri, ma che mano a mano che lo si
ascolta trasforma quella smorfia in un sorriso di approvazione.
Recensione Appino - Grande Raccordo Animale
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