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Francesco Guccini - Il Maestrone

Novembre 2012. Conferenza stampa di presentazione de "L'Ultima Thule". Oltre a presentare il disco fa un annuncio che era nell'aria da mesi, ma che nessuno dei suoi fan avrebbe mai voluto sentire. Addio Musica. Per sempre. Una carriera iniziata 45 anni prima e che si concludeva così, senza un addio, senza un ultimo concerto. Ci lascia in eredità diciassette album, diciassette spaccati di vita, la sua e la nostra.
La sua storia comincia a Modena, dove nasce 73 anni fa. Ma modenese non lo è mai stato, o meglio, non ci si è mai sentito. La sua vita è sull'Appennino. Quella Pavana al confine tra Emilia e Toscana, quel paesino in montagna dove tra il mulino dei nonni e il Limentra è cresciuto. Quell'Appennino che avrà un'influenza determinante in tutta la sua carriera. Così come sarà influenzato da quella Bologna dove andrà a vivere a 21 anni e ci rimarrà fino a pochi anni fa, prima di tornare in montagna. 
E' proprio nel periodo che va tra Modena e Bologna che inizia la carriera del Maestrone. Siamo alla fine degli anni '50, l'allora cronista per la Gazzetta di Modena, si occupava di cronaca giudiziaria, inizia a suonare in un'orchestra da balera. E' qua che cominciano i primi incontri che cambiano la sua carriera. Con lui in balera suonavano Pier Farri (suo futuro produttore) e Victor Sogliani (futuro Equipe 84). E' in questo periodo che inizia a scrivere le prime canzoni e quando quell'orchestrina diventa prima "I Gatti" e poi L'"Equipe 84" qualcuna di queste canzoni inizia a vedere la luce. Ovviamente non cantate da Guccini, perché lui intenzione di cantare non ne aveva, a lui piaceva scrivere. Siamo nel 1966 e l'Equipe 84 pubblica Auschwitz e L'antisociale mentre i Nomadi pubblicarono Noi Non Ci Saremo e Dio è Morto. Le doti compositive di questo studente di lingue non passarono inosservate e nel 1967 gli venne proposto di incidere il suo primo disco. 




L'inizio della carriera discografica di Guccini è il classico esempio di come sia cambiata la concezione della musica in Italia da quei tempi a oggi. Ora se il tuo primo singolo non ha successo hai possibilità pari a zero di salire alla ribalta. A Guccini per avere successo occorsero quattro album. "Folk Beat n.1" del 1967, "Due Anni Dopo" del 1970 e "L'isola non Trovata" sempre del 1970, nonostante contenessero già alcune delle prime perle del Maestro, non ebbero il dovuto successo di pubblico, tanto che lo stesso Guccini raccontò di essersi stupito quando gli venne proposto di registrare il secondo album, dopo che "Folk Beat" aveva venduto un totale di 500 copie.
Alcuni suoi colleghi cantautori si sono elevati a poeti generazionali, spesso senza una vera ragione, la grandezza di Guccini è probabilmente l'essere sempre rimasto con i piedi per terra e continuare a raccontare le storie di tutti i giorni, un cantastorie più che un poeta ma che comunque con le parole riusciva a mettere in piedi delle canzoni che somigliano quasi a dei film. Nella discografia del Maestrone la cosa che più colpisce sono le immagini che riesce a evocare nella mente mentre si ascoltano le sue canzoni. Alcune di esse risultano essere più vicine a una sceneggiatura che a una canzone. Pezzi tipo Incontro, Autogrill, Venezia e La Locomotiva hanno la capacità di raccontare una storia, fornendo tutti i dettagli che riescono a farti percepire la dinamica. 




Ma Guccini è anche un cantautore che fa della musica uno strumento di protesta. Come tutti i cantautori del suo tempo, ci si doveva schierare. E lui è stato quello che meglio di tutti è riuscito a fare canzoni su base sociale, attacchi alla nostra società, mantenendo comunque un livello qualitativo eccezionale. Canzone per Silvia, Noi Non Ci Saremo, Dio è Morto e tante altre, sono prova di una sensibilità per i problemi della società, ma sono anche diventati dei classici del suo repertorio, che ancora oggi sono tra i preferiti tra i fan.




Se con i primi tre album non aveva avuto il successo sperato, il quarto album fu quello che lo portò alla ribalta, nominandolo di diritto tra i più grandi della musica italiana. “Radici” del 1972 è un viaggio alla scoperte appunto delle radici che ognuno  fa. Sette capolavori compongono questo LP che è il punto di svolta della sua carriera  , trainato da quella Locomotiva che fin da subito diverrà uno dei suoi cavalli di battaglia. Con il passare dei dischi si fa sempre più evidente l'influenza che ha Bologna nei confronti di Guccini e ne sono prova i successivi dischi. Se “Stanze di Vita Quotidiana” è il disco peggio riuscito del cantautore, per sua stessa ammissione, “Opera Buffa” e “Via Paolo Fabbri 43” tirano fuori tutto quello che Bologna ha rappresentato per l'artista. “Opera Buffa” mostra un lato di Guccini che spesso veniva sottovaluto. Il suo essere cantastorie esce fuori del tutto nelle sue esibizioni dal vivo, in cui il suo dialogo con il pubblico diventa fondamentale e del tutto inaspettato vista l'immagine seriosa che mostrava nei suoi dischi. Registrato all'Osteria Delle Dame luogo fondamentale della sua vita, in cui si passavano le nottate a suonare e giocare a carte e quando si tornava a casa, si componeva. Il risultato è “Via Paolo Fabbri 43” che a detta dei critici si gioca con “Radici” la palma di migliore disco di Guccini. Sei traccie, sei spaccati di vita bolognese, dalla Piccola Storia Ignobile che parla di una gravidanza non voluta, al Pensionato vicino di casa dello stesso Guccini. Ma anche L'avvelenata nata da un'incazzatura contro il critico musicale Bertocelli citato nella canzone che aveva stroncato il precedente album, fino a arrivare a Canzone di Notte N.2 forse la migliore del disco.




Nato nel 1940 e cresciuto durante la Guerra, Guccini restò folgorato dai soldati americani che vennero a liberare l'Italia occupata dai tedeschi. Cresciuto con il sogno americano, leggendo autori statunitensi e soprattutto Paperino, e da sempre grande viaggiatore, mette tutto questo a servizio dei successivi due dischi. “Amerigo” e “Metropolis” mostrano ancora un altro lato di Guccini. Amerigo altri non è che lo zio partito per gli Stati Uniti in cerca di fortuna come molti nostri compatrioti e tornato solo più vecchio e con un'ernia che sembrava la fondina di una pistola nella sua mente di bambino. Con “Eskimo” si tocca forse il punto più alto della produzione Gucciniana. Non è mai stato un grandi scrittore di canzoni d'amore, anzi forse non le ha mai scritte. Ma è stato magnifico nel raccontare la fine dell'amore, Eskimo e in seguito Farewell e Quattro Stracci  su tutte. 
“Metropolis” ci racconta la voglia e il bisogno di viaggiare. Ci racconta Venezia tramite una storia tragica di morte, ci racconta la tanto amata Bologna, ci racconta una Bisanzio durante il passaggio tra dominio occidentale e dominio orientale. 




Da qui in poi si può notare un drastico calo nella voglia di Guccini di fare musica. Non che la qualità venga meno, ma si allungano i tempi, forse l'ispirazione non è più quella di prima, iniziano a arrivare i primi romanzi. Ecco forse Guccini si inizia a dedicare di più alla sua vera passione, lo scrivere. Ha sempre dichiarato che scrivere una canzone è molto più complesso rispetto allo scrivere un racconto. Ma quando decide di fare dischi sa sempre come farlo. 
Questa seconda parte di carriera è caratterizzata da sette dischi in 25 anni. Che comunque continuano a regalare delle perle di autentica bellezza a tutti i suoi affezzionati ammiratori. Si va dal tango di Scirocco, alla collaborazione con Lucio Dalla(suo grande amico) in Æmilia, a altri amori finiti di La canzone delle Domande Consuete, Quello che Non..., Farewell, alle contestazioni di Canzone per Silvia, Cirano e Don Chisciotte per passare all'attualità con Piazza Alimonda che ricorda la scomparsa di Carlo Giuliani al G8 di Genova. 





Quando si ha davanti una carriera del genere, di tale durata e così ampia come produzione, difficilmente non si trovano dei difetti o dei momenti di calo. Per trovarli a Guccini bisogna impegnarsi a fondo. Sono pochi gli artisti che alla fine della loro carriera possono guardarsi alle spalle, e vedere quasi solamente trionfi. Anche i primi dischi che erano passati un po' in sordina, nel corso degli anni sono stati rivalutati come è giusto che sia. 
Resta l'amaro in bocca per la fine, perché quest'”Ultima Thule” ci rende sempre più consapevoli del fatto che, magari con i suoi tempi, ma il Maestrone poteva ancora tirare fuori cose notevoli. E invece non ci resta che riascoltare i suoi vecchi dischi, fino a consumarli, con la sicurezza che pur ascoltandoli da una vita, e continuando ad ascoltarli per molti anni a venire, non ci annoieranno mai. 




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