Recensione Appino - Grande Raccordo Animale
DISCLAIMER: Qualsiasi cosa dirò
riguardo il nuovo lavoro di Appino dovrà esser preso con le
molle. Per due semplici e validi motivi. Primo, negli ultimi anni gli
Zen Circus sono la band italiana che ho ascoltato di più, e visto
più volte dal vivo. Di conseguenza credo di risultare abbastanza di
parte in qualsiasi commento li riguardi. Secondo, e più affettivo,
quando è nato questo blog la prima recensione che pubblicai fu
quella de Il Testamento, quindi
Appino ha
di diritto un posto nel mio cuore. Ora partiamo con Grande
Raccordo Animale, che
di cose da dire ne offre parecchie.
Il
Circo Zen si è fermato di nuovo e dopo vario girovagare tra New York
e il Nord Africa, Appino
ci
offre il suo secondo lavoro da solista. Partiamo da un assunto. Se vi
aspettate un lavoro alla Zen Circus o sugli standard de Il
Testamento,
non lo troverete. Perché nel frattempo Appino
è cambiato, o forse ancor più semplicemente è
cresciuto e maturato. Non c'è la violenza emotiva che spingeva il
primo lavoro, ci sono solo alcuni tratti delle storie che racconta con gli
Zen, c'è forse un'apertura a un mondo finora sconosciuto, o forse
solamente ignorato. Appino
ci
guarda, e si guarda, e racconta quello che vede. Un mondo pieno di
persone confinate in un Grande Raccordo Animale,
costretti a girare per l'eternità senza che da questa autostrada ci
dia un'uscita. Costretti a girare nelle proprie vite misere e molto spesso poco
interessanti.
E
il cambiamento si nota anche dal punto di vista musicale, che
abbandona quasi totalmente “l'indie” per come lo si vuole
intendere, per provare e sperimentare come mai il cantante pisano ha
provato a fare nella sua carriera. Si passa dalla produzione di
Giulio Ragno Favero nelle mani di Paolo Baldini (ex Africa Unite) e
già dalla prima traccia ( Ulisse)
spunta un ritmo in levare ad accompagnare l'ideale viaggio che si sta
per affrontare, ma come canta Appino, “Itaca
non c'è”.
Ma è con la titletrack che ci scontriamo per la prima volta con le
novità. Grande
Raccordo Animale è
pervasa di un ritmo mediterraneo, per certi versi un pezzo pop nel
senso però più alto del termine. Se New
York
rispolvera le chitarre che ci hanno accompagnato in tutti i suoi
lavori precedenti, La
volpe e l'elefante
si presenta come il pezzo più inaspettato del lotto, con il suo mix
di elettronica, musica etnica e rock. Un pezzo che può bastare da
solo a rappresentare tutto l'album, con la sua voglia di staccarsi
dal passato.
L'anima
però ti resta attaccata addosso anche se provi a rinnegarla, e
Rockstar e
NabucoDonosor
fanno riemergere in parte quelle ballate amare che avevano fatto la
fortuna de Il
Testamento. E
la finale Tropico
Del Cancro,
che con “Quattro
accordi messi in croce”
ci racconta con toni amari e soprattutto disincantati la vita
dell'artista costretto sempre ad essere all'altezza della situazione.
Un pezzo di stampo Gucciniano che si erge fin da subito a instant
classic della discografia di Appino.
Provare
a cambiare per cercare qualcosa di migliore. O più semplicemente per
aprirsi a un mondo nuovo, un mondo per te inesplorato, ma senza per
questo cambiare di nulla quello che sei. Cercando di arrivare a più
gente possibile, perché in fondo nessuno fa musica per tenerla per
se stesso. Appino
rischia
e regala un disco difficile. Un disco che al primo ascolto fa
storcere la bocca ai fan duri e puri, ma che mano a mano che lo si
ascolta trasforma quella smorfia in un sorriso di approvazione.
Recensione Appino - Grande Raccordo Animale
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