Recensione AC/DC - Back In Black

Nel
febbraio del 1980 il frontman della band, Bon Scott, morì
improvvisamente a seguito di una nottata di eccessi. A seguito di
questo evento in molti pensavano a una probabile fine per la band
australiana, che invece dopo poco si mise subito alla ricerca di un
sostituto alla voce. La scelta andò a cadere su Brian Johnson, un
semi sconosciuto cantante inglese. La band si chiuse subito in studio
per dare un seguito a Highway To Hell,
ma soprattutto le sedute di registrazione del nuovo album furono
fondamentali per superare lo shock della perdita di Bon Scott.
Fin
dalla copertina di Back In Black
si capisce come l'evento funesto abbia influenzato tutto il nuovo
album, una copertina totalmente nera in segno di lutto per l'amico
scomparso. Anche l'apertura del disco è in onore di Bon Scott, con
le campane che suonano a morto e ci introducono ad Hells
Bells.
Lo
stile è quello che ormai da anni la band dei fratelli Young aveva
intrapreso, un rock and roll nudo e crudo, suonato veloce e potente
che nasce dal blues ma che si evolve a creare un tipo di hard rock
diverso da quello più classico di Led Zeppelin o Deep Purple.
Back In Black
è un disco in cui sono racchiusi alcuni dei più importanti brani
della carriera degli AC/DC. Hells Bells, Shoot To Trill,
Back In Black ma
soprattuto You Shook Me All Night Long
garantirono all'album un successo incredibile, portandolo ad oggi a
essere il secondo disco più venduto di sempre con oltre 50 milioni
di copie vendute.
Un
disco che porta un gruppo dal successo alla storia, un disco che è
quasi una seduta di analisi per superare un trauma e che li fa uscire
più forti di prima, uno di quei pezzi di storia che anche se li
conosci a memoria non puoi fare a meno di riascoltare.
Recensione AC/DC - Back In Black
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